Andare dall’altra parte del mondo per essere sicuri di uscire dalla propria comfort zone.
È successo a molti, quest’anno, e non potevano certo saperlo. Che l’uscita del loro album sarebbe coincisa con l’entrata in scena di quella che poi si è rivelata la parola più (ab)usata degli ultimi mesi: lockdown. Per dire, chissà come l’ha presa Lavinia Siardi, che – dopo svariato tempo passato a girovagare tra Milano, la Norvegia e il Giappone – si è trovata a rivalutare le gioie e i dolori di un pit stop forzato nelle natie terre friulane, in compagnia della famiglia al completo (gatta compresa).
E pensare che – parole sue – «doveva essere il disco della liberazione». Fa ridere amaramente, letta così, ma non è detto che tutto sia perduto, in questo senso. Alla fine “liberazione” ha mille significati, altrettante sfumature e può manifestarsi nelle maniere, nei tempi e nei luoghi più inaspettati. Anche dentro casa, nel periodo più nero di questi Duemila. Non è un caso infatti che komorebi sia un’espressione giapponese che – come tutte le cose filtrate da barriere linguistiche e culturali – può voler dire tutto e nulla, e quindi venir buona per tutte le stagioni.
“Luce che filtra tra gli alberi” pare sia la traduzione più plausibile, e la luce di questa Rose è quella di una ragazza con la chitarra che diventa una donna capace di scrivere canzoni con la “C” maiuscola, di una band che debutta sulla lunga distanza con la consapevolezza del veterano. Le atmosfere sono quelle dei Daughter e degli XX, la voglia di autodeterminazione quella dei Savages, ma la rabbia di fondo ha qualcosa che va più indietro nel tempo. A quegli anni Novanta che hanno lasciato il segno anche su chi era appena nato e il cui riflusso difficilmente perdona chi si è trovato nei paraggi. Certe esplosioni pop aggressive ricordano i migliori Garbage, la produzione (e la batteria) di Giacomo Carlone non avrebbe niente da invidiare a Butch Vig (a parte il budget disponibile, s’intende) e se per caso, quando i suoni si fanno distorti, vi viene da pensare a Xabier Iriondo, no, non siete impazziti – dietro le quinte c’è proprio l’ex Afterhours in carne e ossa.