Non incolpate chi lo ha inventato, se il trip hop è presto scaduto in tappezzeria sonora. Prendetevela con i comprimari che ne hanno semplificato la ricetta, poi ascoltate Tricky e il suo blues del terzo millennio. Tuttora attualissimo, come se trent’anni non fossero mai trascorsi.
Lo abbiamo affermato infinite volte, ma siamo pur sempre di fronte a un principio inconfutabile: il blues è condizione dell’anima – del soul, per l’appunto – che ognuno si porta dietro e soprattutto dentro. Una spada di Damocle che, invece di pendere da un filo, giace incastrata là dove il panorama è scuro però attraente e dove ci farebbe un gran bene dare un’occhiata. Una condizione che ereditiamo senza rendercene conto, e lo prova il fatto che spesso e volentieri finisce per nascondersi in forme poco tradizionali, poiché è allontanandosi da un’eccessiva fedeltà al passato che se ne conserva l’essenza. A patto di possedere talento, inventiva e genio necessari a maneggiarlo come si deve.
Ovvero, con l’equilibrio tra omaggio e oltraggio e magari vivendo sulla pelle ciò che, in ultima analisi, è una filosofia applicata all’esistenza. Così, quando gratti via la superficie, affiora uno scheletro tanto più solido in ragione delle mutazioni cui è stato sottoposto. A proposito: pensi alle ultime metamorfosi blues veramente ispirate e ti vengono in mente l’irruenza stilosa di Jon Spencer, le stralunate pieghe tra krautrock e slowcore dei Red Red Meat, gli ibridi etno-dub orditi dai Little Axe e, su un piano di notorietà assai più elevato, l’uomo noto al mondo come Tricky.
Quale più e quale meno, tutti si fregiano della condizione di classico e trafficano con il meticciato. Per quanto riguarda il (non più) ragazzo di Bristol, la questione sfocia – e contemporaneamente trova origine – in un intreccio di razze, atteggiamenti e propensioni mescolato a una condotta di vita che del concetto illusorio di “normalità” si fa beffe. Una vita che non a caso è stata sul serio spericolata ma ha prodotto frutti succosi. Stiamo parlando del trip hop, che – come ogni etichetta che (non) si rispetti – è stato schifato e schivato dai diretti interessati anche perché, data la natura spiccatamente cinematica e ambientale, è degenerato in fretta a sottofondo per bar e centri commerciali.
Nessuna colpa, comunque, in chi lo ha inventato e codificato, benché la pece che cola da Maxinquaye sia qualcosa di assai più complesso. Qualcosa di modernissimo ma con radici antiche, che come il suo autore cammina su lame di rasoio e scivola lungo le ferite e i lividi dell’anima, confondendosi all’odore di asfalto bagnato e di cannabis che permea certi quartieri per assomigliare alla colonna sonora di un inferno in cui ci si può divertire. La spieghi così una febbre che ti spinge ad annoverarlo tra i capolavori che non invecchiano perché abitano in una dimensione a sé. Lì è conservato il blues del terzo millennio: scuro, denso e seducente, ci porta a passeggio sul lato selvaggio della vita. Siategli riconoscenti.
La musica reca sempre tracce riconoscibili del genius loci che ha contribuito a plasmarla: a volte si tratta di omaggi dichiarati, altre di ammiccamenti o di echi, altre ancora di un tentativo di trasfigurazione. Oppure di un intreccio che si confonde con il vissuto come nel caso di Adrian Nicholas Thaws alias Tricky, anello di congiunzione tra le fiamme che si propagano da Y e le fondamenta di Blue Lines. Di Pop Group e Massive Attack già abbiamo riferito e dunque vi rimandiamo ai rispettivi articoli, annotando che in quel fertile terreno il bad boy c’è sia sotto il profilo biografico che artistico.
Con Mark Stewart condivide un appartamento e serate selvagge nei club, ricevendo in cambio credibilità e ingaggi nel giro hip hop prima di essere inglobato da Del Naja e compagni nel Wild Bunch. Cerchio chiuso, siccome a distanza di decenni balza chiaramente alle orecchie il filo rosso che collega un urticante post-punk imbevuto di free jazz, dub candeggiato e mutazioni black ai panorami che, aggiunte l’apertura di orizzonti dell’hip hop, la lezione dell’avanguardia e una psichedelia non solo attitudinale, appartengono a Blue Lines e Maxinquaye.
Dura arrivarci e non è di semplice gavetta che parliamo, dato che Thaws cresce in una famiglia che definire disfunzionale è mero eufemismo e, non fosse stato per la musica, sarebbe probabilmente caduto vittima di uno scontro tra gang rivali. Lo puoi capire, il giovanotto che nelle vene ha sangue giamaicano, inglese e della Guyana: dal degrado di Knowle West il babbo sparisce all’istante, la madre – che di nome fa Maxine Quaye: non aggiungiamo altro – si suicida che Adrian ha quattro anni e a tirarlo su provvede la nonna, la quale non batte ciglio quando alla scuola lui preferisce i film horror.
Da adolescente si fa chiamare Tricky Kid, rappa e ha casini seri con la legge, ragion per cui sono manna dal cielo l’amicizia con Stewart e l’ingresso nel Wild Bunch. Il resto è una storia che a un certo punto si divide per ragioni artistiche. In Protection Tricky lascia le impronte solo su Eurochild e Karmacoma perché sta preparando il debutto in proprio, dopo che gli altri hanno respinto al mittente le curve etniche e gli slarghi psych funk di Aftermath. Eppure è una faccenda memorabile quella che Adrian affida all’ugola di Martina Topley-Bird, ragazz(in)a delle superiori con la quale ha inoltre una relazione sentimentale.
Colata di miele dolceamaro dal retrogusto alcolico, la voce della Topley-Bird rappresenta l’ideale contraltare delle sue spatolate indolenti e nasali. Considerateli gli ultimi pilastri sui quali poggia un passaggio di testimone da collegare a un altro dato di fatto, cioè che punk si nasce e non si diventa. Se il grimaldello che spalanca le porte della carriera di Tricky è un 12” white label di Aftermath, dopo l’accordo con la Island la pubblicazione dell’album segue una strategia calibratissima. Puntando a creare e subito incrementare l’attesa, nel volgere di un annetto tre singoli suscitano il plauso della critica e stuzzicano il pubblico. Puntualmente, nella primavera 1995 tutti restano a bocca aperta e a secco di aggettivi.
Da pietra miliare scolpita con istinto e minuziosa cura, Maxinquaye sfrutta ogni possibilità espressiva in un estremo non perfettibile. A indagarne gli ingredienti la ricetta pare simile a quella di Blue Lines, nondimeno la differenza va cercata nella testa di uno chef che insiste su certi ingredienti e altri li adombra, impastando in senso inverso e gettando nel calderone spezie e aromi fino a ottenere un risultato personale.
Non rinunci a nulla in cinquantasette minuti che riscrivono il trip hop e il post-rock con la grammatica del rap e viceversa, ricorrendo a una cantabilità raffinata e ambigua, immersa in ambienti misteriosi non di rado foschi che sanno di zolfo e perciò di blues. Futurista e futuribile, è musica che cancella i confini tra i generi (Tricky e Martina si fanno ritrarre scambiandosi gli abiti), strapazza e ricuce stili senza che si notino cesure, confonde voci da diavolo e finta acquasanta ed è cosa sola di dolcezza e depravazione.
In un’umoralità cangiante e sfaccettata che non molla mai la presa, si dipana un saliscendi dove i Public Enemy di Black Steel sono riletti in tellurico, slanciato dopo-rock industriale e contrappuntati dallo struggimento/stordimento oppiaceo Hell Is Round the Corner, che dallo stesso frammento di Isaac Hayes usato dai Portishead per Glory Box ricava tutt’altre atmosfere, dove i giochi si aprono con il magistrale saluto ai Massive Attack e l’inquieta sensualità di Overcome e con una Ponderosa che ribadisce il concetto tramite reticoli percussivi e giostrine di tasti.
Se Pumpkin ipotizza una ballata fratturata e torbida a gravità zero, Aftermath è troppo preziosa per essere esclusa, l’irruenza elegante di Brand New You’re Retro graffia con un sample di Michael Jackson. Alla contorta Strugglin’ e al suo gusto melodico sghembo però efficace rispondono la sensualità del soul alieno Suffocated Love e il fascino insieme ipnotico, esotico e malaticcio che promana da Abbaon Fat Tracks, You Don’t e Feed Me.
Entusiasta la stampa, in un decennio nel quale accade di tutto e di più Adrian viene suo malgrado catapultato nel ruolo di star. La reazione? Collaborare a destra e a manca, remixare materiale altrui con ottimi esiti e più che altro aguzzare le sonorità e inasprire i toni. Terzo e ultimo dato di fatto: il mondo gira velocemente e chi sta fermo rimane indietro. Tutto questo Tricky lo sa eccome.
Adottato l’alias Nearly God, in copertina dell’omonimo 33 giri lo scorgi carponi, davanti a una porta chiusa con scritto “Paradiso”. Messaggio forte e chiaro che del disco racchiude tutta la poetica, annunciando l’approfondimento del lato più astratto e sperimentale di chi convoca al microfono un parterre di regine e re – Björk, Alison Moyet, Neneh Cherry, Terry Hall – per interpretare canzoni spettrali e disturbanti.
Canzoni che si avviluppano alla mente passando attraverso storture, spigoli e angoli e ossessionando come incubi che sfumano in fantasticherie cui non rinunceresti per nulla al mondo. Anzi. Medesimo discorso per Pre-Millennium Tension, che nello stesso 1996 testimonia il ritorno dell’abituale nome d’arte e di un’obliqua visionarietà pop che, metabolizzata la lezione dei lavori precedenti, affronta la claustrofobia di Metal Box da prospettive contemporanee.
Allorché il trip hop inizia a scivolare in sottofondo per l’ora dell’aperitivo, il nostro eroe tira dritto per la sua strada e di lì a un biennio Angels with Dirty Faces segna lievemente il passo, preludendo a una serie di dischi piuttosto opachi che gireranno intorno a un linguaggio in debito di sbocchi ed evoluzioni, mentre l’artista perde bussola e terreno e l’uomo si smarrisce in magagne con le etichette discografiche e in alti e bassi esistenziali.
Situazione cui un decennio fa poneva rimedio il trasloco a Berlino, laddove nel maggio 2019 il tragico suicidio della figlia ventiquattrenne avuta con Martina dimostrava che la vita distilla il blues per poi sputarcelo addosso, senza ritegno alcuno e non chiedendo mai il permesso. Tornando alla musica, anche se il Kid non ha più raggiunto certi livelli, Maxinquaye resta un capolavoro in tutti i sensi irripetibile e l’artefice un cavallo pazzo ma assolutamente di razza. Di conseguenza, ci sembra saggio non abbassare la guardia con chi, dal profondo dei suoi talenti e tormenti, potrebbe sorprenderci di nuovo. Con chi, alla faccia sporca del nearly, è stato un autentico God.
Tricky Massive Attack Portished Pop Group Martina Topley-Bird