Corpi che si muovono con pura precisione.
Nel 2016 in uno di quegli articoli inutili ma divertenti la testata inglese The Mirror fece una classifica delle band mettendole in ordine a seconda della difficoltà di comprensione dei testi. Inaspettatamente i più difficili da capire sono risultati i Depeche Mode, in particolare la loro Macro.
Di sicuro il brano è uno dei migliori di Playing The Angel, ma come spesso accade è stato dimenticato dalla band subito dopo la conclusione del Touring The Angel. Peccato, perché pur nella sua complessità (o forse proprio per i suoi arrangiamenti arditi) risulta uno dei brani meglio riusciti anche a livello di suoni nell’era post Alan Wilder. Perché se è vero che da A Broken Frame in poi lo scettro della composizione pura è passato saldamente nelle mani di Gore, è il lavoro di arrangiamento e fine cesello in studio di Wilder quello che ha reso immortali i dischi storici della band. Provate ad ascoltare in cuffia i dettagli seminascosti ma fondamentali di classici come World In My Eyes: una serie di microcanzoni nella canzone.
Ecco, se tutto questo nel post Songs Of Faith And Devotion è andato man mano perduto a favore di soluzioni più semplici, a volte questo modus operandi ha rifatto capolino qua e là gratificando l’orecchio ed il cervello, come nel caso di Macro. Come ciliegina aggiungete un testo davvero sopra la media interpretato magistralmente da Gore, con un Gahan relegato alle armonizzazioni nel coro: un rovesciamento delle parti che rende ancora più interessante il tutto.
Sicuramente non una hit radiofonica, ma nondimeno uno dei brani dei DM “maturi” che ne segna l’evoluzione e il raggiungimento di nuove espressioni artistiche, pur senza sconvolgere lo stile di base.
↦ Leggi anche:
Depeche Mode: Where's The Revolution?
Humanist (feat. Dave Gahan): Shock Collar
Martin Gore: Mandrill
Stella Rose: Muddled Man
Depeche Mode: Ghosts Again
Depeche Mode: the best of the rest