Se davvero oggi nessuno riesce più a scrivere musica come quella emersa negli anni ’60, ’70 e ’80, allora perché non tentare di infondere una nuova freschezza a canzoni che abbiamo tutti ascoltato milioni di volte, in certi casi fino allo sfinimento? Prendendole a due a due, s’intende. Che è poi la definizione più immediata che potremmo dare di mash-up.
Ci avviciniamo a un’era che lo studioso critico del web Geert Lovink ha definito a “commenti zero”, nella quale cioè chi scrive in rete di solito non raggiunge una posizione di visibilità e riconoscimento tale da consentirgli di acquisire lo status di autore.
Il web 2.0 è considerato il regno dell’amatorialità. Non ci sono professionisti e, quando lo sono, essi vengono trattati come se non lo fossero (non pagati per le loro prestazioni), in una sterile celebrazione dell’intelligenza delle folle che diventa solo un pretesto per una nuova leva di business web, disinteressata a costruire meccanismi di finanziamento della produzione intellettuale.
Con questa frase – lapidaria – si conclude una prova della maturità 2019 di italiano. Negli ultimi anni gli adolescenti del nostro paese hanno dovuto affrontare un’orribile piaga che sono certo segnerà come un trauma indelebile le loro esistenze: i temi sui giovani e i social network e le nuove tecnologie. Alla stregua di quello sulla bomba atomica, le vacanze e il sempreverde “tema libero” delle nostre memorie, vengono assegnati con frequenza persecutoria, costringendo i poveri fanciulli a raccattare un 6 racimolando ovvietà, mentre tentano di comprendere l’entità dello scontro generazionale in atto, quello tra se stessi e gli adulti, ponendosi dalla parte di questi ultimi, professori e giudicanti. E vai. Si stava meglio quando c’era il telefono a gettoni. Le canzoni degli Psicologi suonano meglio – e ancora più deprimenti, se possibile – su vinile. Già questa estate sarebbe stato preferibile inviare cartoline invece che postare su TikTok. Basta Instagram: alla prossima festa ci facciamo i selfie con la macchina a pellicola usa e getta. Tanto il mosso e lo sfocato vanno di moda. Bravo, voto: 8 al 9. Ma occhio alle ripetizioni.
Cari miei amici, lettori, professori a appassionati di musica, ammettiamolo: una parte più o meno grande di noi ha la nostalgia canaglia. Del mondo pre-Lycos, delle cassette da sbobinare, dei concerti senza schermi, ma con le sigarette. Perché in effetti il web ci sta scappando di mano. Come la giovinezza. E forse pensiamo che sarà attraverso il web che i giovani uccideranno i padri. Creando, forse, fenomeni che accopperanno finalmente i miti che tentiamo di mantenere in vita strenuamente: il rock, la buona musica, i dischi di 11 canzoni. Fino alla morte biologica della prossima attempata icona, da salutare con lugubri lamenti su Facebook, dove ormai ci ritroviamo solo noi quarantenni, per lamentarci e celebrare i cari estinti.
Questo sentimento di velata insofferenza trova espressione nei titoli dei temi per liceali e nel successo del libro 100 cose che abbiamo perso per colpa di internet di Pamela Paul (da noi edito dai mai troppo lodati tipi del Saggiatore), in cui l’editorialista del New York Times ci ricorda con sagace e composta ironia di quante cose meravigliose abbiamo iniziato a privarci dal giorno in cui il tecnico ci ha piazzato la connessione di Tiscali in cameretta. Dalla solitudine alle telefonate, dalle cartine alla noia, questa sconosciuta. È tutto vero. E il libro della Paul è davvero divertente e mi fa venire voglia di riguardare gli album di foto della festa di Carnevale delle medie e la videocassetta di War Games.
Però, ecco che arrivo al punto: esiste, nella mia mente, anche un’ipotetica lista delle “100 cose che abbiamo guadagnato con Internet, noi nerd con un’ineffabile gusto per la bizzarria e il surrealismo”. E tra queste cose rientrano sicuramente le supercazzole di Scaruffi, Trucebaldazzi, la proliferazione del culto di Richard Benson, le cover surf rock dei classici black metal e, cara la mia editorialista del New York Times, tieni le orecchie ben aperte: i mash-up.
Secondo Wikipedia, dicesi mash-up «una canzone o composizione realizzata unendo fra loro due o più brani preregistrati, spesso sovrapponendo la parte vocale di una traccia a quella strumentale di un’altra, mediante l’uso di campionatori o giradischi. Questa tecnica è a volte identificata come uno stile musicale vero e proprio noto con i nomi bastard pop/rock, o bootleg». Ne parla anche Aranzulla.
Possiamo intendere quelli più riusciti come veri e propri esperimenti dadaisti: i mash-up fondano la loro estetica sullo spaesamento. Il creatore di mash-up cerca come un tartufo corrispondenze improbabili tra metal e soul, elettronica e canzonette. Quanto più l’accostamento sfonda il limite dell’impensabile, tanto più il mash-up ha raggiunto il suo scopo, come nel caso di questo capolavoro pionieristico. Quanto più è bizzarro e improbabile, ma funzionante, tanto più l’arte del mash-up tocca nuove frontiere, creando un ponte tra generi che un tempo si sarebbero guardati in cagnesco.
Ciò che rende la pratica del mash-up assolutamente 2.0 è la natura artigianale confidenziale. Ne abbiamo parlato con mr. Bill McClintock, autentico maestro del genere. Ve lo presenterei così.
Partiamo dalle basi: come hai iniziato a praticare la nobile arte del mash-up?
Ho iniziato a fare mash-up per semplice passione. Il senso dei mash-up è quello di creare qualcosa che sia familiare e nuovo allo stesso tempo. Il mio background è nella teoria musicale, ma è stata la tecnologia a rendere possibile la realizzazione delle mie idee. All’epoca del college andavo matto per la musica soul e per il metal: generi così diversi stilisticamente, ma che secondo me avevano tanti elementi in comune. I miei follower sembrano essere stati d’accordo con me, perché il successo delle mie creazioni è sempre cresciuto, fino a rendere la combinazione di metal e soul il mio autentico trademark.
Alla fine, tocca dare ragione ai compilatori di temi di maturità: «il web 2.0 è […] il regno dell’amatorialità». Ancora di più dopo il lockdown, lo spazio per la creazione non è più il garage ma la cameretta (o la cucina, vero Mr. Robert Fripp?).
I mash-up sono solo un hobby. O forse un’ossessione. Dedico loro un sacco del mio tempo libero per realizzarli. Come professione sono un insegnante di musica in una scuola elementare: a volta li propongo in classe per alcune delle mie lezioni. Il punto di partenza è individuare due canzoni stilisticamente lontanissime, ma che magicamente funzionino bene insieme, per armonie e tempo. Sembra facile a dirsi, ma sono necessarie ore o giorni per trovare il match giusto.
Come software ho iniziato con GarageBand, perché era gratuito. Adesso che il mio canale Youtube sta cominciando ad avere un’utenza importante ho deciso di passare a qualcosa di più professionale: Logic Pro X per la musica e iMovie per i video costituiscono l’elemento più umoristico, per questo amo molto realizzarli. Da ragazzino, negli anni ’80, adoravo MTV. All’epoca non avrei mai immaginato di poter avere tutti quei video immediatamente a disposizione grazie a YouTube. Questo è, da un certo punto di vista, fantastico, impensabile un tempo. E mi permette di giocare con quelle iconografie.
Non saprei dire se i mash-up possano essere considerati un genere musicale a sé stante. Ma se dovessi trovare tre brani fondanti per questo stile sceglierei Stayin’ in Black (Bee Gees e AC/DC), Whole Lotta Sabbath (Led Zeppelin e Black Sabbath) di Wax Audio e Earth, Wind & Ozzys di DJ Cummerbund.
I mash-up funzionano quando riescono ad accostare generi musicali che abitualmente consideriamo opposti, riuscendo però a valorizzare le caratteristiche salienti di ciascun brano.
Quando ciò avviene è pura magia: i brani riprendono nuova vita, senza snaturarsi, e per il nostro pensiero laterale si aprono nuove frontiere. A patto di possedere la giusta dose di ironia e apertura mentale.
I mash-up che hanno avuto più successo sul mio canale in termini di milioni di visualizzazioni sono: All I Want for Christmas is the Beautiful People (Mariah Carey / Marilyn Manson – 4.4 M), Billie Cocaine (Michael Jackson / Eric Clapton – 3.2 M), If You Wanna Breathe My Sulfur (Spice Girls / Slipknot – 3.1 M), Get Ready for the Grave (Temptations / Black Sabbath – 2.7 M), I Heard It Round and Round the Grapevine (Ratt / Marvin Gaye – 2.2 M). Forse il segreto del loro successo è che suonano veri: potrebbero davvero essere state scritte originariamente in questo modo. Se solo gli autori avessero abbracciato la mia visione musicale, ovviamente.
Il passaggio naturale sta già accadendo: alcuni ragazzi mi stanno inviando i video in cui suonano i miei mash-up dal vivo. È una bella sorpresa constatare che ciò che nasce nella mia stanza si trasformi in qualcosa di performativo. Anche se la cosa non fa per me, personalmente. Sono un “behind the scenes guy”: non amo esibirmi di fronte al pubblico, ma lascio la libertà a chiunque di usare i miei mash-up per i propri concerti o DJ-set.
La filiera che strutturava il professionismo si è sbriciolata, aprendo varchi per nicchie pronte a diventare microfolle globali condotte da Marcel Duchamp in ciabatte che erano contenuti traversali basati sulle proprie ossessioni, spesso giovanili e nostalgiche.
Credo che anche in questa attività sia importante creare un’identità precisa e riconoscibile. Il soul e il metal sono i generi che amo e costituiscono la mia cifra stilistica: per questo uso esclusivamente classici di questo tipo per comporre i miei mash-up. Ciò mi ha permesso di riunire intorno al mio canale un fan base di ascoltatori molto vicina anagraficamente: quarantenni o giù di lì. La questione è che nessuno oggi compone più musica come quella emersa negli anni ’60, ’70 e ’80.
Anche il metal e il pop di oggi sono davvero diversi rispetto ad allora. O almeno questa è la mia percezione, con tutto il rispetto per gli artisti contemporanei. Diciamo che con il mio lavoro tento di infondere una nuova freschezza a canzoni che abbiamo tutti ascoltato milioni di volte, a volte fino allo sfinimento. Immagino che combinate tra di loro acquistino nuova vita, sotto una luce differente.
E per le nuove generazioni, niente?
In realtà mia moglie pensa che i miei mash-up farebbero sfracelli su TikTok, ma onestamente non ci ho ancora capito molto di quella piattaforma. Per il resto sono un po’ old style. Sto cercando di esplorare nuovi generi, tipo il country (che normalmente non fa per me), e un paio di brani hanno avuto un grande successo tra i miei subscriber. Non so se siano soluzioni che possano interessare le nuove generazioni, ma mi accontento di ascoltare David Lee Roth cantare Jump sulle note di Hank Williams e sono felice così.
Intanto ho proposto a Bill qualche classicone italiano (da Little Tony a Edoardo Vianello), sperando che il suo genio trovi connessioni improbabili tra – che so – Abbronzatissima e i Kreator. Bill, intanto, ha pubblicato un nuovo capolavoro. Insomma. Massmediologi e liceali ricordate: se è vero che viviamo tempi bui, nel 2022 possiamo almeno permetterci di ballare la metalmacarena senza troppa vergogna, grazie ai mash-up e al genio di creativi 2.0 come Bill McClintock. E il futuro dell’umanità è salvo.
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