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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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I Saucerful of Secrets, al di là di Nick Mason

Rievocare Syd Barrett, vestendo improbabili camicie.

Nick Mason e i suoi Saucerful of Secrets sono impegnati nell’Echoes Tour, che ha fatto tappa anche in Italia a Lucca e Torino. Sono nati per portare in giro “i vecchi pezzi” dei Pink Floyd, quelli meno noti al grande pubblico, quelli prima di Dark Side of the Moon, in gran parte partoriti da quel genio pazzo e imprevedibile che è stato Syd Barrett. E nel farlo, si divertono un mondo. Ma qui non parleremo di concerti. E nemmeno di Nick Mason.

Magliette

Il cantante si sporge un attimo dal palco e dice: «Ho notato parecchi con la maglia dei Pink Floyd, qui nel pubblico. Ok, lo capisco. Ehi, ci sono anche un paio di tizi con la maglietta dei Genesis. Lo capisco di meno, ma è ok. Ma non ho notato nessuno con la t-shirt degli Spandau Ballet! Questo è ingiusto! Davvero ingiusto!».

Risate. Applausi.

Il cantante, che è anche un chitarrista, con la sua bella Stratocaster d’ordinanza a tracolla, si chiama Gary Kemp, e durante il live, quando è il momento di presentare la band, Nick Mason lo introduce così: «Lui è Gary Kemp, passato dall’essere un eroe del new romantic a un dio del prog rock!».

Risate. Applausi.

Nick Mason's Saucerful of secrets live
Syd Barrett incombe.

Ma facciamo un passo indietro, e partiamo da dove è inevitabile si parta: Nick Mason. Quando tutto è iniziato – con Syd Barrett – lui c’era. Con Roger Waters al comando, lui c’era. Quando il timone è passato, non proprio pacificamente, a David Gilmour, lui era sempre lì. E anche se non s’è mai capito bene quali parti di A Momentary Lapse of Reason abbia effettivamente suonato (prendete Sorrow: pezzo incredibile, ma la drum machine è piuttosto evidente), anche se nei mega-tour – solo a contare batteristi di supporto e percussionisti – si agitavano intorno ai tamburi una decina di persone, ebbene, ci sono pochi dubbi sul contributo fattivo di Nick Mason a una delle più grandi band della storia del rock.

E tanto vi basti. Perché di Nick Mason avrete già letto e sentito tutto. Parliamo piuttosto del resto della banda: i Saucerful of Secrets al di là di Nick Mason. Iniziando con il dire che sì, i Saucerful of Secrets sono un “supergruppo”, ma non quel tipo di supergruppo: non sono vecchie cariatidi un tempo famose in cerca di un secondo quarto d’ora di notorietà, né una band assemblata a tavolino per spremere quel che si può. Non sono gli Asia, non sono i Transatlantic, non sono i Traveling Wilburys. Solo per citare i primi tre venuti in mente.

O meglio: sì, Gary Kemp ha effettivamente un passato da rockstar. Ma Lee Harris (chitarra), chi diamine lo conosce al di fuori dei SoS? E Dom Beken (tastiere, effetti)? Quanto a Guy Pratt (basso e voce) è ancora diverso: è un session man, e per quanto sia un session man di gran lusso rimane uno che campa suonando nei dischi degli altri. Ma la definizione in questo caso non gli rende giustizia, perché Guy Pratt di questa band è, se non l’anima, decisamente la testa.

Ma andiamo con ordine.

Quello degli Spandau Ballet

Gary Kemp non era solo la chitarra degli Spandau Ballet, vale a dire la band che con i Duran Duran si contendeva classifiche di vendita e turbamenti ormonali del pubblico femminile nei mitici anni ’80 (le supposte idiosincrasie tra band che si rivolgono allo stesso pubblico è sempre stata una strategia molto amata dalla stampa musicale, quando ancora ce n’era una: Spandau Ballet vs Duran Duran, Oasis vs Blur, Nirvana vs Pearl Jam, eccetera). Gary Kemp era gli Spandau Ballet: il 99% dei brani del gruppo erano suoi, sue tutte le hit da classifica: True, Through the Barricades, Gold, Only When You Leave. E della rockstar, Kemp aveva anche il physique du rôle, e assieme a quello un certo eclettismo: quando non suonava, recitava. E lo fa ancora (a volte assieme al fratello, Martin Kemp, che negli Spandau era il bassista). Se vi viene un’improvvisa voglia di polpettone hollywoodiano, di quelli con gli attori giusti, la colonna sonora giusta, la storia d’amore giusta, e ovviamente i buoni che devono sconfiggere i cattivi – insomma, se vi capita di rivedere The Bodyguard, beh, fateci attenzione: oltre a Kevin Costner e Whitney Houston c’è anche Gary Kemp (indizio: fa il cattivo).

E siccome Kemp è un tipo eclettico, negli ultimi tempi, quando non suona e non recita, tiene un podcast: si chiama Rockonteurs, che si potrebbe tradurre come “Incontrock” se solo la traduzione non facesse schifo, e vede Gary mettersi dall’altra parte della barricata (ancora le barricades!) e intervistare altri musicisti.

E capita che il compagno con cui conduce il podcast si chiami Guy Pratt. Quel Guy Pratt, quello che nei SoS suona il basso, canta, fa i cori e accenna sul palco a ridicole coreografie al ritmo dei vecchi cavalli di battaglia del fluido rosa.

Gary Kemp
Gary Kemp e le sue meravigliose camicie con i bonsai (e per queste osservato con invidia da Nick Mason).

Quello che ha sostituito Roger Waters

Se amate i Pink Floyd, o siete di quelli che dei dischi leggono le note in piccolo di chi ha suonato cosa su quale brano, molto probabilmente sapete chi è Guy Pratt: è il musicista che ha sostituito Roger Waters al basso dopo la dipartita di quest’ultimo, e in questa veste ha suonato su tutti i dischi post-Waters dei Floyd, e si è fatto tutti i tour, e ha accompagnato anche Gilmour nelle esperienze soliste in studio e dal vivo. Ma quello che è impressionante sono le collaborazioni al di là dei Pink Floyd: perché Pratt è un vero session man, sempre pronto a mettere il suo basso al servizio delle cause migliori – quale che sia il metro di giudizio.

Lui e il suo strumento (di solito, ma non sempre, un Rickenbacker) li trovate nei dischi di Bryan Ferry, David Bowie, Robert Palmer, Tears for Fears, Michael Jackson, Debbie Harry, Madonna. Ma anche in quelli delle Bananarama, Natalie Imbruglia, Sophie Ellis-Baxtor o… Paola & Chiara («Vamos a bailar / Esta vida nueva», ah, versi immortali!). C’è un’intervista piuttosto divertente su Rolling Stone dove spiega come abbia rischiato di suonare anche con gli Smiths, e racconta di un siparietto spassoso con Morrissey.

Perché Pratt è prima di tutto un tipo spassoso, e avendo accumulato un numero di aneddoti-riguardanti-gente-famosa (altro genere molto amato dalla stampa) che basterebbe per un paio di vite, ha messo su uno spettacolo come stand-up comedian in cui suona (poco) e racconta (molto) di quella volta che lui e Bowie… o lui e Madonna…

Guy Pratt
Guy Pratt e le sue meravigliose camicie optical.

Quello che ha avuto l'idea della band

Lee Harris: dicevamo, chi diamine è Lee Harris? Racconta in un’intervista: «ho suonato in un sacco di band londinesi durante i miei vent’anni fino alla fine degli anni ‘90, quando il mio amico Billy Freedom mi ha invitato a suonare con uno dei miei eroi d’infanzia – il bassista Norman Watt-Roy di Ian Dury & the Blockheads. Alla fine sono stato il loro webmaster, agente, co-manager e, cosa più gratificante di tutte, ho suonato la chitarra con loro sporadicamente come membro in tournée per un periodo di 12 anni».

La carriera di Harris è abbastanza tutta qua, ma i legami con i Floyd risalgono addirittura alla generazione precedente: il padre, direttore della fotografia, ha collaborato per anni con Storm Thorgerson, l’artista che per i Pink Floyd ha disegnato alcune tra le copertine più iconiche della loro discografia, come The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here, Delicate Sound of Thunder. Ma tra le band per cui Storm si è occupato dell’artwork ci sono anche i Blockheads (Mr. Love Pants, 1999) in cui Lee Harris milita. E il cerchio si chiude: «È stato durante una mostra del lavoro di Storm che Guy Pratt e io ci siamo incontrati: siamo diventati subito ottimi amici», ricorda Harris.

Così amici che quando i Floyd vanno a suonare a Nimes, in Francia, nel 2016, Guy Pratt invita Lee Harris (che nel frattempo s’è trasferito a vivere proprio in Francia) a venire a vedere il concerto. E in quella occasione Lee, che aveva temporaneamente appeso la chitarra al chiodo, ha un momento di nostalgia e partorisce l’idea: perché non mettere su una band con Nick Mason e Guy Pratt per suonare i pezzi precedenti a Dark Side of the Moon, quelli che nemmeno nei concerti solisti di Waters o di Gilmour trovavano quasi più spazio? Lee Harris ne parla con Guy Pratt, che ne parla con Nick Mason. Mason si convince.

Nel febbraio del 2017 quelli che saranno i Saucerful of Secrets si ritrovano per capire come mettere su il progetto. Dice Harris: «La prima volta che ci siamo incontrati per la band, eravamo solo Nick, io e Guy. Nick se ne venne fuori con il nome di Gary [Kemp] come di qualcuno con cui avrebbe voluto suonare, e Guy venne fuori con il nome di Dom [Beken]”.

E quindi, parliamo di Dom Beken.

Lee Harris
Lee Harris e le sue meravigliose camicie floreali.

Quello che fa musiche per videogiochi

All’inizio degli anni ’90 Guy Pratt lavora con il duo britannico di musica elettronica The Orb, incidendo The Orb’s Adventures Beyond the Ultraworld. Certe cose ci mettono un po’ a prendere piede, ma Pratt e Alex Paterson (il 50% degli Orb) si piacciono (d’altra parte l’abbiamo già detto che Guy è un tipo simpatico), e appena una quindicina d’anni più tardi decidono di mettere su una band assieme: si chiama Transit King, durerà un paio d’anni. Con loro due c’è anche un certo Dom Beken.

Dom Beken
Dom Beken e le sue meravigliose camicie ipnotiche, con annessa schiena di Pratt e pancia di Harris.

Dom è un mago delle tastiere, degli effetti, un compositore, ma il suo ambito lavorativo principale è un altro: lui scrive, suona e produce colonne sonore per videogiochi e film. La sua tendenza a stare dietro le quinte si appaga anche del lavoro di produttore e ingegnere del suono per un sacco di gente di un certo peso: David Bowie, Katherine Jenkins (ovvero la versione bionda e con le tette di Andrea Bocelli – voce lirica e formazione classica imprestate al pop), Placebo, lo stesso Richard Wright, il tastierista dei Pink Floyd scomparso nel 2008.

Così quando nel 2016 Guy Pratt pensa a chi mettere dietro le tastiere, il nome di Dom Beken gli viene in mente subito: perché oltre ad aver lavorato con Richard Wright, è anche uno dei pochi in grado di ricrearne i suoni, il modo di suonare, in alcuni casi anche i modelli di tastiere dell’epoca.

I brani c’erano, la squadra anche. «Abbiamo solo fatto due giorni in una piccola sala prove di merda», ricorda Pratt della prima volta che si trovarono tutti insieme, «e poi nel giro di sei settimane o qualcosa del genere abbiamo fatto il nostro primo concerto in un pub. Un paio di mesi dopo eravamo in tour».

Applausi. E risate, questa volta di contentezza.


L’articolo è stato modificato per recepire le correzioni che Lee Harris ha gentilmente ritenuto opportuno fare. Grazie Lee! (7-12-2022)


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