Ho appena assistito a uno spettacolo che mi ha… mah, forse la parola esatta è turbato. Una di quelle cose strane che solo nel ventunesimo secolo possono accadere, che da una parte solleticano il vecchio appassionato di fantascienza che è in me e dall’altra mi suscitano un certo disagio, un senso di come (nelle parole di Quino) la vita moderna sia sempre più moderna e sempre meno vita.
Tutto nasce dal fatto che qualche mese fa era il trentunesimo anniversario dell’uscita di Goodbye My Loneliness, il primo album degli Zard. L’album esce il 27 marzo 1991, rimarrà per 45 settimane in classifica e rappresenta una pietra miliare nella storia della musica giapponese.
Ma qui è necessario fare un passo indietro.
Gli Zard sono stati la prima band giapponese che io abbia ascoltato “sul serio”, la prima band giapponese della quale abbia comprato un CD: Zard Best, del 1999, ordinato da YesAsia alla sua uscita (scopro solo ora che il disco era stato pubblicato il giorno del mio compleanno – curiosa coincidenza). Gli Zard (con i Southern All Stars) mi aiutarono a imparare il poco di giapponese che conosco, ed erano una delle mie band “da autostrada”, sul lettore CD dell’auto quando vagabondavo per l’Italia tenendo corsi.
E io naturalmente dico “gli Zard” e non “Zard” e basta, perché li ho conosciuti come band, anche se di fatto gli Zard erano un gruppo di turnisti senza volto che facevano da spalla a Izumi Sakai, ex modella e umbrella girl riciclatasi come cantante, che aveva iniziato come vocalist e frontwoman della band, finendo per scrivere i testi delle canzoni, suonare chitarra e pianoforte in studio, curare gli arrangiamenti, produrre.
“Zard” è l’abbreviazione, a seconda delle fonti, di wizard o forse di blizzard. Dopo l’esordio “non brillantissimo” di Goodbye My Loneliness (solo 250.000 copie vendute e 45 settimane in classifica!), negli otto anni successivi gli Zard piazzeranno nove singoli al primo posto nella classifica Oricon, e sei al secondo posto, vendendo milionate di CD alla folla festante (Wikipedia dice più di 38 milioni di dischi al 2014).
Facevano pop e pop rock, gli Zard, con qualche incontinenza che suggeriva la passione per il jazz della Sakai. Hanno registrato anche delle colonne sonore, ovviamente, non solo per vari drammoni televisivi, ma anche per Slam Dunk, Dragonball GT e Detective Conan. Dalla fine del ventesimo secolo, i loro dischi entravano direttamente nella top ten sulla base delle prenotazioni.
Izumi Sakai – che, come si sarà intuito, era una musicista brillante – soffriva di paura del palcoscenico, e quindi la band raramente compariva in TV e di solito non faceva concerti. La relazione con il pubblico era mantenuta soprattutto attraverso un fan club al quale costava un occhio iscriversi. Solo nel 1999 gli Zard compariranno per la prima volta su un palco dal vivo: su una nave da crociera, davanti a un pubblico di 600 persone e a fronte di due milioni (!) di richieste per un biglietto.
Poi, nel 2004, finalmente un tour vero e proprio, con dieci concerti in sala, dal titolo What a Beautiful Moment.
E l’anno scorso, per i trent’anni del debutto, un concerto speciale.
Durante il lockdown, come in tutto il mondo, anche in Giappone i concerti si tenevano in teatri e auditorium deserti, e venivano trasmessi in streaming. E non è la stessa cosa: è strano vedere dei musicisti che danno il massimo su un palco, magari anche con palese entusiasmo e divertimento, davanti a una distesa di poltrone vuote.
Qualche settimana fa ho guardato un concerto dei Tokyo Jihen registrato durante quel periodo: hanno chiuso come facevano sempre, salutando e lanciando i plettri al pubblico… ma il pubblico non era lì. Poi sì, ok, i Tokyo Jihen quando suonano lo vedi che si stanno divertendo come dei forsennati anche se non c’è nessuno a guardarli, ma il fatto che non ci fosse nessuno a guardarli è comunque strano.
E lo stesso vale, naturalmente, per What a Beautiful Memory – 30th Anniversary, il concerto del trentennale degli Zard, tenutosi a febbraio 2021 in un grande teatro vuoto. Ma non era quella l’unica assenza notevole.
Perché Izumi Sakai, che di fatto era gli Zard, è morta il 27 maggio 2007, all’età di quarant’anni. E da allora, non ha mai smesso di vendere dischi (incluse sette nuove compilation dei vecchi brani), e la band è stata di frequente in tour: 21 date fra il 2007 e il 2008, in un tour avviato appena due settimane dopo la morte della cantante. E poi concerti nel 2011 e nel 2016, per il ventennale e il venticinquennale del debutto.
Varie immagini di Izumi Saki, dalla sua carriera di modella iniziale fino al ricordo dei fan immediatamente dopo la notizia della morte.
Sono una strana faccenda, i concerti “live” degli Zard – una band di ottimi strumentisti che suona dal vivo, e la traccia audio di Izumi Sakai, isolata da una delle registrazioni live di quando era in vita, mentre sullo schermo passano delle immagini dell’artista in studio o sul palco, sincronizzate con la traccia vocale. Un po’ come dicevano gli Iron Maiden: Live after Death. In questo modo, Izumi ha fatto certamente più date da morta che da viva, perché da viva non le piaceva.
Ed ora, ecco questo strano spettacolo, registrato l’anno scorso: una band senza frontwoman, che suona davanti a una distesa di poltrone vuote. Il fantasma digitale di Izumi Sakai, di fronte a un pubblico anch’esso composto di fantasmi. L’assenza perfetta e assoluta.
E non lo so, mi ha fatto una strana impressione. Un po’ per questo strano mix di lealtà e necrofilia dei fan, per la rapacità delle case discografiche. Fenomeni noti e comuni, ma difficili da digerire. Ma anche e soprattutto perché mi ha lasciato con uno spiacevole senso di vuoto. Come quando si guarda una città di notte, nella distanza, una distesa di monoliti costellati di luci, e noi siamo fuori, e non c’è nessuno. Una sensazione di solitudine assoluta.
Il che è abbastanza appropriato, considerando che si festeggiavano, con questo vuoto e questa solitudine, i trent’anni di Goodbye My Loneliness. È molto più difficile oggi, io credo, dire addio alla solitudine, di quanto non lo fosse nel 1991.
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