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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Pugni alzati come antenne verso il paradiso infernale dei GY!BE

Il secondo album dei Godspeed You! Black Emperor: un caos emozionale tuttora insuperato.

A.D. 2000: Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven arriva nell’universo del post-rock sotto forma di un flusso di coscienza che si ricodifica senza soluzione di continuità. Il manifesto metafisico della band canadese e di un intero genere musicale.

Tracce del passaggio di un'assenza anarchica

Per il filosofo Jacques Derrida, in noi vi sarebbe il segno di un’assenza che si fa chiamare inconscio e che tuttavia non segnala una mancanza assoluta, ma solo la rappresentazione di un passaggio che un giorno porterà alla presenza. Però in un tempo che non è dato immaginare. Perché la differenza è un silenzioso moto di transizione che – partendo da una traccia originaria, dispersa per sempre – si articola in un passaggio che lascia solo ulteriori tracce di sé. In questo flusso di continua disseminazione c’è la trasformazione della vita nel suo senso più profondo, l’impossibilità di una sua riduzione in formule o codici di significato. La scrittura, così come l’arte in generale, è il luogo della decostruzione: la dimensione dove l’istante in cui riversiamo la nostra vita si consuma nell’atto stesso di quella creazione, portandoci verso un altro luogo che segna l’avvenire, ma anche la fine di noi stessi per quello che siamo.

La musica dei Godspeed You! Black Emperor è il topos concettuale dell’anarchia. Di una politica dell’impossibile che si nutre dello scontro cruento tra energie opposte e di tutti gli smottamenti geologici da cui si genera il futuro. Se il presente è la combinazione tra ciò che esiste e ciò che sarà solo nel momento in cui finiremo di esistere, in qualche misura il collettivo canadese si fa interprete di un’apocalisse del presente. Non c’è niente di più difficile che cercare di catturare il passaggio di qualcosa che è già destinato a essere qualcos’altro, perché ciò che si riesce a catturare è solo la sua scia luminescente, nulla di più. Come la foto di copertina di F♯ A♯ ∞ – l’esordio per la Kranky dei Godspeed You Black Emperor!, uscito quando il punto esclamativo era ancora alla fine – che potrebbe essere stata scattata da un soggetto in movimento o a qualcosa che non ha lasciato traccia di sé sulla pellicola. Perché quando si parla dei GY!BE è sempre questione di tracce: forse di schegge di un corpo di vetro, che esplode e ferisce chi assiste alla sua dissoluzione. La linea di questa precisa strategia ideologica è segnata anche dalla decisione di rinunciare a foto ufficiali: per loro, solo scatti live o riprese nella semioscurità illuminata dalle pellicole di Karl Lemieux, cineasta canadese che è parte integrante di ogni concerto.

Facciamoci subito un'idea.

L'auto va a fuoco e non c'è nessuno al volante

«I said “Kiss me, you’re beautiful / These are truly last days”/ You grabbed my hand / And we fell into it / Like a daydream / Or a fever». Questi i versi dell’elegia apocalittica Dead Flag Blues che apre F♯ A♯ ∞ con i suoi archi montanti vicini ai Rachel’s.

Era il 1997. Lo stesso anno in cui i Mogwai davano alle stampe Young Team, come se ci fossero voluti sei anni da Spiderland per elaborare quella stessa materia oscura, tanto e tale è stato l’impatto degli Slint su una frangia di ciò che sarebbe stato definito post-rock. A differenza di Spiderland – che nasceva come figlio deviato degli anni Novanta e la cui eredità è più marcata nel patrimonio artistico degli scozzesi –, F♯ A♯ ∞ dei GY!BE segna una direzione diversa. Quanto meno nella forma: in un’inedita struttura a ensemble nella quale far convergere un alveo cameristico, echi morriconiani, lamentazioni klezmer e progressioni ritmiche spietate e dirette a una fatale destrutturazione.

Ogni cosa, nei GY!BE, suona come finale di qualcos’altro. Ogni “brano” altro non è che la porzione di un segmento più ampio, da cui si crea una dinamica duale di dipendenza e smarcamento continuo, come una sorta di richiamo che rinnega la propria genesi. Medesima logica si ritrova nell’EP del 1999 Slow Riot for New Zerø Kanada, che si pone in continuità con il precedente adottando una maggiore concisione estetica. Moya e BBF3 esaltano la forza esplosiva del collettivo in modo più lineare, quasi come fossero una sorta di minicompendio del loro universo, un accesso più metodico della loro ideale geografia del mondo.

Essere profeti in patria: Moya live al Metropolis di Montréal.

Strade spezzate lungo i bordi di nastri metafisici

Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven giunge a compimento un anno dopo Slow Riot for New Zerø Kanada, ultimo lavoro per la Kranky, siccome da Yanqui U.X.O. si inaugura la presenza nella conterranea Constellation. Lift Your Skinny Fists… rappresenta il manifesto metafisico dei GY!BE, il crocevia di una mutazione oltre il cui limite il collettivo avrebbe cambiato pelle, tralasciando le soluzioni adottate fino ad allora. Al netto di un eccellete esordio, rimasto insuperato per le suggestioni del tutto inedite che ha portato sulla scena dell’avanguardia internazionale, qui il territorio delle prove precedenti è ampliato in termini di possibilità. Lift Your Skinny Fists… non fa altro che applicare un filtro all’ordinario per trascenderlo in tutt’altro. Le voci catturate all’interno di un supermercato diventano suppliche postmoderne, come l’omelia di un predicatore televisivo diventa preghiera universale e le riprese nel bailamme di una manifestazione. Le quattro tracce parlano di vite reali, ma nello stesso tempo inventate: storie di morte, di detonazioni rivoluzionarie e religioni incendiarie, di strade interrotte e invocazioni medianiche. Storm, Static, Sleep e Antennas to Heaven si completano a vicenda, in una meccanica di interscambio tra elementi significativi che danno vita al flusso di coscienza che prosegue oltre i propri margini, così da ricodificarsi all’infinito.

Tempesta su Parigi.

Lift Yr. Skinny Fists, Like Antennas to Heaven… / Gathering Storm apre l’album su una marcia per archi che contiene la genetica dell’universo, il cuore pulsante di elettricità esplosiva che ingoia ogni cosa nel suo ventre di antimateria prima di scendere nelle pieghe della desolazione dove camminano gli Swans. La coda di Welcome to Barco AM / PM…[L.A.X.;5/14/00] – Cancers Towers on Holy Road Hi-Way, invece, è un intarsio stanco di rintocchi di piano, steso su un tappeto di voci al megafono che sembrano implorare pietà. 

La seconda traccia Static prende l’avvio con Terrible Canyons of Static, un bozzolo di onde elettromagnetiche disturbate, forse una trasmissione radio ultraterrena che si dissolve per aprirsi a uno dei momenti più toccanti del disco: una litania che rovescia la pedanteria delle esortazioni di un predicatore, tramutandone le parole in una supplica laica. Dopo l’intercapedine di noise alienato Atomic Clock, prende l’avvio il raga circolare World Police and Friendly Fire, episodio tra i più devastanti in scaletta per la furia tellurica che prende energia prima lentamente, come il respiro bradicardico dei Neurosis, e poi si dipana sempre più veloce in un moto di esoterico abbandono all’irrazionale. Mai come in questo caso le chitarre di Efrim Menuch dilaniano le carni e si innalzano a un’idea di assoluto sovversivo, che riporta alla mente lo schema della Molotov stampata sul retrocopertina di Slow Riot for New Zerø Kanada.

Fuoco amico a Berlino.

Il secondo disco si apre con Sleep e il monologo di Murray Ostrill They Don’t Sleep Anymore on the Beach, cui segue il lungo flusso tremolante di Monheim, cavalcata decadente sulle sponde di aurore tremolanti, la cui energia sconfina in Broken Windows, Lock of Love Part III, uno dei passaggi più emotivamente coinvolgenti di tutta la produzione dei canadesi. 

(Non) dormire a Bologna.

La seconda traccia, Antennas to Heaven, decolla sul post-blues Moya Sings “Bay-O”, cui segue  il binomio [Glockenspiel Duet Recorded on a Campsite In Rhinebeck, N.Y.] e Attention… Mon Ami… Fa-Lala-Lala-La-La…, entrambe costruite su field recordings che captano voci trasfigurate. Il finale è segnato dal monolite She Dreamt She Was a Buldozer, She Dreamt She Was Alone in an Empty Field, da Deathkamp Drone e dalla coda di [Antennas to Heaven…], ambient industriale che tratteggia un turbinio di anime in fuga. 

Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven raccoglie il suono dell’ignoto per custodirlo dentro un’Arca dell’Allenza che è stata costruita con il legno di imbarcazioni alla deriva. Forse ha ragione Menuch nel dichiarare che, con gli album successivi e soprattutto con il quarto Allelujah! Don’t Bend! Ascend!, il collettivo ha raggiunto il migliore suono possibile. Ma è altrettanto vero che Lift Your Skinny Fists… rimane tuttora insuperato in termini di potenza emotiva e per la capacità non comune di saper trascrivere i codici del caos e dell’esistenza.

Godspeed You! Black Emperor GY!BE Mogwai Slint post rock 

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