Bentornati i giorni da cameretta, bentornato MySpace.
Di tanto in tanto, arriva una nuova band che fa alzare il sopracciglio dei fan della musica. Una band che ha la capacità di stabilire nuovi standard per un genere particolare. Per esempio, molti sono andati e venuti, negli ultimi anni, in quel mondo che si era aperto con il punk hardcore, ma pochi hanno lasciato il segno. Un barlume di potenziale, sperperato dalle loro stesse mani. Ci sono i Thrice, certo. I Glassjaw. I Letlive. Ma – per la mole che è intervenuta a dire la propria in quel giro – non sono stati poi molti a resistere alle intemperie della decade successiva.
Vero è che – diventati adulti e non più adolescenti di moda – molti raggiungono un’inevitabile crisi a un certo punto della loro vita, anelando ardentemente al ricordo di essere di nuovo un bambino, senza preoccuparsi del mondo intorno, della famiglia, del lavoro. Così, ritornano alla loro cameretta e tolgono un po’ di polvere dai loro CD. La nostalgia può essere una droga pericolosa, ma può anche riportare certe sensazioni in cui il peso del mondo sembra appena essere stato sollevato dalle nostre spalle, anche solo come una breve tregua.
Ecco quindi che la scena emocore di metà anni 2000 riappare qui in tutta la sua luce (nera): gli Static Dress ci riportano in un unico, grande balzo ai giorni di Myspace.
Rouge Carpet Disaster mantiene ogni grammo della promessa ribelle del collettivo, aprendosi con un ruggito prima di placarsi in un emozionante flusso e riflusso di melodia. Il primo brano, Fleahouse, fa riecheggiare i fantasmi dei già citati eroi del genere, ma anche la spavalderia e la fiorente portata dei primi My Chemical Romance, soprattutto grazie al puro carisma e al talento del cantante Olli Appleyard.
Appleyard è una forza assoluta da non sottovalutare dietro il microfono, poiché utilizza una varietà di tattiche impressionanti, che vanno da strilli acuti e penetranti a ritornelli puliti e melodici, e irradiano non solo la nostalgia per il tempo che fu, ma vera rabbia incancrenita. Il resto della band ne segue l’esempio nel reparto strumentale, senza fronzoli particolari ma con perfetta efficacia: il loro chitarrista misterioso e senza volto (noto semplicemente come Contrast) sa come creare passaggi orecchiabili ed energiche progressioni di accordi che risplendono sulla batteria precisa di Sam Ogden, così come il basso brillante e le voci di supporto dell’uomo che mai è comparso in pubblico senza un berretto nero, Connor Reilly.
Questi ragazzi di Leeds sono i crociati (anzi, i templari) della moderna scena emo hardcore (ammesso che qualcosa del genere possa esistere di nuovo) e sono qui per dimostrarsi degni di essere una della next big thing di oggi.