Alle soglie della quarta guerra mondiale, armati di un banjo distorto.
Considerati da molti la next big thing, gli Show Me the Body, con il loro sound caustico fatto di banjo, synth e distorsioni, continuano a mietere consensi. Se già il loro Trouble the Water aveva riscosso plausi incondizionati, anche l’ultimo singolo proveniente dal disco non è da meno.
WW4 si offre infatti in tutta la sua forma più matura: quel metalcore scorbutico da strada, che protesta, che rifiuta di far parte – come il genere chiede – della solita merda che passa in giro in America, ma allo stesso tempo consapevole del fatto che i tempi sono cambiati (e già i Refused lo sapevano bene) e, piuttosto che sbraitare e sbraitare ancora, cerca una diversa via – pur sempre efficace – di pianificare una qualche resistenza in musica.
La gentrificazione e una feroce ostilità verso la New York che cambia rimangono il focus lirico, così come le disuguaglianze e tutto lo spettacolo dei nuovi media che ricopre la realtà di immaginette sature di colori, filtri e altre inutili amenità. È un territorio fitto da cui prendere spunto, di cui ubriacarsi e poi vomitarne le critiche. Insomma, il modello è quello solito. E funziona ancora bene.
“Hardcore” è certamente diventato un termine ampio. Laddove una volta c’era una forma di punk molto più veloce, aggressiva e spesso violenta, oggi l’etichetta di genere può essere applicata a tutti: dai nuovi Code Orange, agli Uniform, ai Converge, gli Scowl, gente che in realtà non suona allo stesso modo, poiché le band attingono sì agli antenati del genere, ma assorbono influenze al di fuori dei confini storici del termine. Chiaramente in debito con la scena alt-rock degli anni ‘90, lo sludge, il noise e persino l’hip hop, gli Show Me the Body si presentano con tutti i giusti crismi del caso, affidati al ghigno consapevole e senza fronzoli del cantante Julian Pratt, che vira tra il farfugliante rocker da pub e lo spirito di Jacob Bannon.
Manco a dirlo, la band dà il massimo sul palco dei locali underground o dei circoli ARCI (dove li si può trovare di questi tempi dalle nostre parti): quello è il loro habitat naturale, a cui appartengono, dove scelgono di essere. Lì, infatti, non puoi cavartela essendo un bravo ragazzo che piace a tutti. Non sono le arene. Devi essere davvero fottutamente bravo: c’è troppa roba – e troppa merda – in giro per permettersi il lusso di non essere convincenti.