Lo spazio interstellare, il classicismo sperimentale.
Che meraviglia, gli Stereolab: portabandiera di un art pop cantabile e sperimentale che hanno messo in connessione decine di anelli cui non avevamo mai pensato, proponendo una coloratissima musica per intellettuali senza spocchia – del tipo che bada al sodo e si diverte – nella quale hanno mescolato di tutto e di più, da Piero Umiliani al tropicalismo passando per BBC Radiophonic Workshop e Harmonia.
Al centro del progetto, Tim Gane, Laetitia Sadier e la sfortunata Mary Hansen hanno recitato da fantastici maniaci del rétro quando ancora ciò non rappresentava una banale moda. In più – oltre ad aver rimesso in pista un gruppo in animazione sospesa tra 2004 e 2014 – Laetitia e Tim possono vantare carriere parallele degne di interesse e rispetto. In particolare Gane, che agli ottimi Cavern of Anti-Matter affianca ora i Ghost Power e, con Jeremy Novak dei Dymaxion, intraprende un viaggio strumentale che vede l’attitudine avanguardistica applicata al pop di Joe Meek saldarsi a tentazioni di kosmische Musik, dove la new wave è tutt’uno con l’arguzia dei maestri della library music.
Vertice dell’opera, per importanza e magnificenza, è Astral Melancholy Suite, che porta via metà della scaletta scagliando in spazi che da interstellari divengono interiori un’ambient come l’avrebbero concepita i primi Kraftwerk se fossero stati i Tangerine Dream. Così, quando dopo un quarto d’ora rimetti i piedi sulla terra, il mosaico di passati immaginari lascia in dote uno squisito e illuminato classicismo d’autore.