Se la crepa sul muro diventa una porta da spalancare.
“Senghe” significa crepa, ovvero la fessura sulla superficie uniforme di un muro, come una ferita causata dal passaggio traumatico dell’alterità che attraversa la vita di continuo. In fondo gli Almamegretta sono da sempre stati questo, una dimensione permeabile per natura a ogni diversità, accogliente nei confronti di tutto ciò che rappresenta il diverso, partendo però sempre dalla solidità delle radici di cui la lingua è il simbolo.
Dopo una pausa di sei anni dalle scene, la band partenopea ritorna appunto con Senghe, album di grande e profonda ispirazione che restituisce una musica che ha guardato da sempre al futuro e che conserva ancora oggi una resa viscerale e curatissima nella dinamica delle strutture ritmiche, anche grazie al lavoro di produzione di Paolo Baldini, ormai entrato a titolo definitivo nella line up. Si aggiunga la voce di Raiz, così satura di suggestioni e che riporta direttamente al crocevia di Lingo e alle sue inarrivabili intuizioni.
Senghe è la traccia eponima, collocata strategicamente all’inizio della seconda parte della tracklist. Il terreno è quello di un blues desertico con un nucleo drum’n’bass attorno a cui si avvolge un canto rituale che disintossica le vene dalle scorie deformi di un’insonnia infinita. Quella crepa sul muro è come uno squarcio da cui assistiamo al transito senza fine di altri uomini con il nostro stesso volto e le nostre stesse speranze: «Stessa forma d’è mmane / Stessa forma de ‘o core / Stessa forma de ‘a capa / Tal e qual‘e penziere». Ogni guerra genera sempre gli stessi figli, così come perennemente identiche sono le case che vengono bruciate. È proprio allora che la crepa diventa una porta da lasciare socchiusa per la speranza, perché «Pure ‘mmiez’a chesta guerra / Nu sciore cresce sempe».