«Un altro grande anno per la musica», si legge in giro – come ogni santo anno in questo periodo. Come è possibile, diranno i nostri piccoli lettori radical chic? Niente di nuovo sotto il sole, tutto è stato già scritto e suonato entro la fine degli anni ‘70, le note son sette (dodici, diranno i nostri piccoli lettori che hanno fatto il conservatorio) e le loro combinazioni un numero (tipo 79 miliardi o giù di lì, diranno i nostri piccoli lettori con la calcolatrice) che, se proprio non sta sulle dita di una mano (forme di vita aliene sconosciute escluse, diranno i nostri piccoli lettori nerd), è comunque finito, numerabile, esauribile.
L’elettronica prova a scrivere la colonna sonora dell’apocalisse dal ‘94 sperando che l’apocalisse non arrivi mai, così può tenersi l’agenda occupata senza troppi sforzi. Il rock ha deciso di chiamarsi post-post-punk giusto per prendere due piccioni con una fava: poter declinare la ribellione al passato con il culo dei nonni mentre giustifica il proprio bisogno di replicare formule ad libitum. L’hip hop fa sempre più fatica a fregiarsi del titolo di genere più innovativo: dice di esserlo da dieci anni almeno, senza essersi spostato poi questo granché da dove era dieci anni fa. Secondo una statistica dell’Osservatorio delle recensioni musicali (fake news! diranno i nostri piccoli lettori complottisti), l’aggettivo più usato da chi scrive di musica è “derivativo”. Tutto vero.
Tutto vero davvero? Si stava sul serio meglio quando si stava peggio? Dipende dal proprio personale concetto di “peggio”, e di “meglio”. E soprattutto dipende dalla propria personale capacità di astrazione, nel saper immaginare un “meglio” quando si stava peggio. O viceversa. Si stava meglio nel 2019 quando sembrava (anche in musica) che tutto potesse succedere? O si stava meglio nel 2020 quando poi è successo (anche in musica) quello che nessuno pensava potesse succedere? O nel 2021 quando hanno provato (anche in musica) a riaprire le gabbie con una programmazione riassumibile in “incrociamo le dita”? Vai a sapere. E la verità dura da mandar giù che è, alla fine della fiera, è una questione irrilevante. Chiamatele seghe mentali o lana caprina in base alla sensibilità linguistica del vostro pubblico, ma il concetto è quello. La realtà (e – fatevene una ragione – in qualche modo è sempre una benedizione) è che ogni anno è migliore del precedente per il semplice fatto di esistere, in quanto ci offre la possibilità di ascoltare un sacco di musica che l’anno precedente non potevamo ascoltare – perché, molto banalmente, non era uscita – l’importanza della quale per la storia e l’evoluzione della musica stessa non ci è dato conoscere, a oggi, e ostinarci a speculare al riguardo lascia il tempo che trova. Riusciranno a valutarla, forse, i famosi posteri, sempre che non siano troppo occupati a lamentarsi che la musica dei loro tempi è troppo derivativa da quella dei nostri.
Così anche quest’anno (come l’anno scorso e da ormai sei anni a questa parte) vi abbiamo consigliato un sacco di roba che non potevamo consigliarvi l’anno scorso o nei sei anni prima e, anche quest’anno (come l’anno scorso e da ormai sei anni a questa parte), ci troviamo qui a tirare le somme e realizzare che una canzone al giorno non basta per riempire il cesto delle canzoni belle che l’anno scorso (e tantomeno nei sei anni precedenti) non potevamo proporvi.
Rimediamo, al solito, con 30 ulteriori pezzi da assumere al bisogno. Continuiamo a chiamarle Bonus Tracks, anche solo per ribadire che se ogni anno siamo in grado di fare quello che facciamo significa che qualcosa di buono da scovare, ogni anno, c’è. Anzi, spesso avanza.