Collettivo, folle laboratorio artistico, gang indagata dall’FBI, joint venture di abili imprenditori: dei geniali samurai del Wu-Tang Clan si è detto e scritto di tutto, perché di tutto si sono occupati. Dai dischi ai film, dallo streetwear alla produzione di innumerevoli gruppi costolari, il progetto nato dalla visionaria mente di RZA ha marchiato a fuoco tantissimo di quello che nell’hip hop (e non solo) è venuto dopo, sfondando i confini della musica stricto sensu e andando a rappresentare sempre più un’impresa “totale”.
Prima ancora che l’aspetto propriamente musicale, quello che del clan ha da subito colpito e cambiato le regole del gioco è stato il concept: la vita da strada a New York, la violenza, le bande e le armi, tutto quanto preso e inzuppato dalla testa ai piedi in un calderone orientaleggiante in cui si mescolano il kung fu e il codice dei samurai, paccottiglia new age e gli yakuza movies. Più che un gruppo hip hop, il Wu-Tang Clan sembra un dream team di supereroi, una sorta di Avengers con i migliori rapper in circolazione. E se RZA con le sue produzioni è l’equivalente di Nick Fury, la mente alla base di tutto, gli altri membri si configurano come una parata di personaggi a metà tra l’All-Star Game della NBA e la schermata di selezione di un videogioco picchiaduro. Ognuno con le sue skills e le sue peculiarità: dall’isteria schizoide di Ol’ Dirty Bastard al magnetismo animale di Method Man, dallo storytelling di Raekwon all’afflato più intellettuale di GZA, passando per le malinconiche e decadenti tinte mafiose di Ghostface Killah – un caleidoscopio di stili e abilità insomma, in cui è divertente (ma non facile) per l’ascoltatore scegliere il proprio super-rapper preferito, perdendosi nei continui cambi di atmosfere e di scritture.
Qui vogliamo occuparci di alcune delle gemme più brillanti – alcune arcinote, altre più nascoste – venute dopo l’esordio Enter the Wu-Tang (36 Chambers) del 1993. Quel disco, con la sua inedita miscela di East Coast hip hop e citazioni dai kung-fu movies, ha avuto gli effetti una vera e propria esplosione, in America e nel mondo, e spesso lì ci si ferma. Perché dopo quel debutto il clan è diventato rapidissimamente un’entità troppo grande (e dispersiva) per rimanere sufficientemente a fuoco: tra album kolossal e infiniti progetti solisti paralleli, colonne sonore cinematografiche e affiliati che continuavano a danzare in un perenne dentro-fuori nel gruppo, è diventato sempre più difficile orientarsi nella galassia Wu-Tang.
Questa playlist vuole quindi essere un piccolo atlante utile per slalomeggiare tra le cose migliori licenziate da RZA e compagni dopo il ’93. Buon viaggio.