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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Quando gli Spiritualized fluttuavano nello spazio

Gli Spiritualized e un disco leggero come l'assenza di gravità, sconfinato come lo spazio profondo.

Un classico è un classico a qualsiasi età. Tuttavia, anche se è stato più volte ristampato, il suo valore e la sua essenza sono da cercare nella forma originale, nell’impatto che essa ha avuto, può e potrà avere. Così è per un capolavoro intitolato Ladies and Gentlemen, We’re Floating in Space.

Fluttuare, sì. Ma dove?

Che vi piaccia o meno, stiamo tutti fluttuando, anche se non nella maniera che immaginavamo quando poteva darsi un futuro ottimistico. Ammetterlo costa fatica e sgomenta, tuttavia è innegabile che lo spazio e il tempo stiano cambiando le forme con le quali li abbiamo sempre percepiti, mentre l’aspetto materiale della realtà si polverizza in una sorta di sospensione perenne e la rivoluzione ipertecnologica ci separa dagli altri e da noi stessi.

In parallelo alla nascita di sistemi più frammentari di fruizione della musica – arte che necessita assolutamente di un mezzo che la “congeli” oltre il momento dell’esecuzione – il nuovo millennio ci ha progressivamente intrappolato dentro una serie di scudi più o meno virtuali. Da par suo, la cultura pop si spezzetta in parrocchiette distanti come vasche dei pesci e noi, isole che dovrebbero tornare continente, continuiamo a setacciare l’oceano cercando qualcosa che lasci il segno.

In realtà, anche se è scovarli è diventato più faticoso, i dischi belli ancora escono. Non moltissimi, però esistono e affondano i denti nella vita vera cancellando gli esercizi di stile, impedendo alla mediocrità di mescolarsi alla noia e trattenendoci da una comoda nostalgia. Per fortuna, poiché l’attualità non va svilita: bisogna analizzarla con attenzione e coglierne la bellezza, visto che un giorno sarà lei a salvarci.

A tal proposto, lui forse non se n’è reso conto, ma è stata proprio la bellezza a guarire Jason “Spaceman” Pierce. Qui di seguito proviamo a spiegare come e perché.

Eccolo, belloccio come non mai.

Astronauti che giocano con il fuoco

Con buona pace di T. S. Eliot, il mondo non terminerà con un lamento ma con un carezzevole schianto. L’ultima cosa udibile sarà un riassunto del genere umano che conterrà i suoni che sono stati e che non potranno mai più essere, un fragore a suo modo dolce come l’inizio di questa vicenda presso la scuola d’arte di Rugby. Lì Jason e Peter “Sonic Boom” Kember si incontrano condividendo la data di nascita e il desiderio di reinterpretare le loro collezioni di dischi con mezzi tecnici inversamente proporzionali all’ampiezza di orizzonti.

Il rapporto procede senza ostacoli per un lustro, nel quale la band che hanno messo in piedi – gli Spacemen 3 – comincia a far scuola nell’istante in cui il linguaggio diviene ricercato e le sonorità non più così assordanti. Una psichedelia sul serio nuova raccoglie progressivamente suggestioni black, minimalismo colto ed elettronica pionieristica per innestarle sul tronco iniziale. Grazie al distacco cronologico, annoda fili nascosti in configurazioni inaudite, come se Stooges e Velvet Underground fossero i Suicide chiusi in un garage con finestre affacciate su Colonia e New York, sul Texas e l’Inghilterra.

Tuttavia, se i modelli e le citazioni sono palesi, ne avverti chiaramente la funzione di mattoni con i quali edificare cattedrali che oggi consideriamo classiche. Nell’ombra, gli Spacemen 3 hanno lavorato per sottrazione sulle tessiture strumentali fino a scomporle in una foschia bifronte che anticipa le frange vigorose dello shoegaze e il post-rock, laddove in epoche più vicine il tipico drone che “rolla” con raffinata potenza è stato studiato da Brian Jonestown Massacre, Warlocks, Black Angels e compagnia bella. E pensare che all’epoca del fragoroso esordio Sound of Confusion – per la cronaca: A.D. 1986 – c’era chi li scambiava per emuli dei Jesus & Mary Chain.

Ed ecco il compagno di merende.

Estasi e sinfonie

Un errore di prospettiva, niente più. A fronte di antenati in comune, negli Spacemen 3 il rumorismo non serve da buccia per malate canzoni pop, ma si intreccia in una spina dorsale robusta potenzialmente infinita. Lo spiega benissimo nel 1987 il concept sulla droga The Perfect Prescription, porgendo canzoni sperimentali e disturbanti alle quali è stato attenuato – in tema con l’argomento, intorpidito – l’impatto. Diciotto mesi e il live Performance nel mezzo, Playing with Fire centra il capolavoro spargendo acid (post) rock cosmico venato di ambient e soul.

Disco straordinario, benché concepito in un clima tesissimo: Kember – suo malgrado identificato dalla stampa come il leader della formazione – accusa Pierce di copiarlo, questi lo irrita portandosi dietro ovunque la fidanzata Kate Radley e l’armonia va a ramengo tra casini con il management, dispute sulle royalties e aggressioni fisiche. Nel 1991 Recurring separa i galletti su due facciate di vinile tracciando le linee guida delle rispettive carriere soliste, poiché nel frattempo Sonic Boom è uscito allo scoperto con un 33 giri e l’ex amico ha varato gli Spiritualized insieme agli altri Spacemen e con Kate alle tastiere.

A giugno, quello che in teoria è un progetto parallelo pubblica su 12” una cover di Anyway That You Want Me dei Troggs e in copertina un adesivo recita “Spacemen 3”. Pare che si tratti di una banale incomprensione con l’etichetta, ciò nonostante il furibondo Sonic Boom ne approfitta per rompere le righe. La ferita non si risanerà più, però quando chiudi una porta a volte si apre un portone: Jason spende il resto dell’annata sul palco anticipando materiale di Recurring e suonando canzoni nuove. Fine e nascita si sovrappongono allorché gli Spacemen 3 scompaiono in un’onda di feedback che sembra spegnersi pian piano e invece ha appena iniziato a riverberarsi sul futuro.

Il video dice psichedelia spicciola, e invece.

L’odissea interiore

Per quanto ci si possa sforzare, la definizione più azzeccata degli Spiritualized la dobbiamo a Dele Fadele del New Musical Express: «moderna musica devozionale». Sottoscriviamo in pieno, annotando che sono pochi i geni capaci di conciliare i contrasti con l’abilità di Pierce: le sue canzoni sono sinfonie per adulti scagliate verso Dio, se per sfida o inseguendo delle risposte non è dato sapere. Da estremi teorici approdano a un umanesimo postmodernista costruito con frammenti del rock più audace, tuttavia sono la carne e l’anima di Mr. Spaceman a unificare il ventaglio di influenze e assicurare l’unicità a una musica giocoforza inseparabile dall’autore.

Siccome il vero coraggio è riconoscersi e dichiararsi vulnerabili, vuoi bene a Jason anche per la sincerità: benché affermi il contrario, nessuna teatralità e nulla da riferire che esuli dalla musica, tranne tossici vizi che releghiamo a sfondo. Di conseguenza, nel lontano 1990 non avrebbe avuto senso riproporre la fotocopia della precedente esperienza artistica, dal momento che l’apertura totale implicava un passaggio dall’economia sonora a una grandeur equilibrata. E se entrambe finiscono con il fondersi nella perfezione assoluta di Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space, sarebbe comunque sbagliato sminuire i lavori seguenti e il percorso che ha condotto a quella pietra miliare.

Grazie al talento e a un maniacale perfezionismo, Pierce si è infatti garantito una discografia impeccabile e uno stile che, conservato degli Spacemen 3 il respiro della musica nera e un blues inteso come condizione umana, corregge il piglio rovinoso e le folate noise con l’arguzia melodica appartenuta a Brian Wilson e l’orchestrazione imponente e sentimentale di Phil Spector. In controluce, le atmosfere accolgono l’inquietudine di fine millennio già dal romanticismo tardo adolescenziale di Anyway That You Want Me, un “what if” dove i Beach Boys sono ospiti della Factory di Andy Warhol. Stupendo, sulla carta e nei fatti.

Lady… and gentlemen.

Medicine per l’anima

Incredibile a dirsi, nella primavera 1991 l’EP Feel So Sad si spinge oltre recando due versioni della title track che in 20 minuti esemplificano il concetto di “mini sinfonia”, traslocando la tensione urbana del Lou Reed di Street Hassle in un’arcadia di scrittura estatica e arrangiamenti tanto cesellati quanto austeri. Poco meno di un anno e il sensazionale debutto Lazer Guided Melodies suddivide un’ora in quattro movimenti, incrementando il dinamismo e la compattezza dell’insieme.

Accanto al J. J. Cale sotto mentite spoglie rifatto à la Velvet di Run sfilano la visionaria ninna nanna You Know It’s True, i Beatles ultra psych alle prese con il West morriconiano di If I Were with Her Now e una I Want You che incalza su groove morbido e calibrate esplosioni. Non valgono certo meno le Smiles e Angel Sigh che spargono LSD sui solchi di Pet Sounds, una Take Your Time ombrosa però trasparente, la stupefatta souledelia di Shine a Light, il magnetismo che non rinuncia alla tensione in Sway e 200 Bars.

Anche il montaggio delle riprese dal vivo continua a dire psichedelia spicciola, e invece.

Splendore cui nel ’95 replica Pure Phase, che convoca il Balanescu Quartet, scappa di mano in qualche episodio ostico e nondimeno vola altissimo nella Detroit del ’68 colorata di California per Medication e Good Times, nella mesta All of My Tears e nell’impetuosa, orecchiabilissima Lay Back in the Sun. Menzione di merito anche per l’elegia The Slide Song e il Bowie teutonico di Born, Never Asked, per il soul tra le stelle di Let It Flow e quello viceversa cameristico di Spread Your Wings.

Poi accade l’imprevedibile. Kate molla Pierce e si accasa con Richard Ashcroft.

Si sarà confusa per via dello stesso "non-taglio" di capelli.

Cuori solitari

Sebbene il diretto interessato abbia smentito, il colpo è esorcizzato in/con un testamento dove una lucida introspezione trasforma l’autobiografia e la confessione in sentire universale. L’amore ci farà sempre e comunque a pezzi, dunque ecco la catarsi e l’amarezza pulsare dal centro di Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space. Ecco 70 minuti che entrano sotto pelle, raccontando qualcosa che tutti abbiamo vissuto in un modo o nell’altro. Tu chiamala, se vuoi, empatia.

E magnificenza, soprattutto, benedetta dalla partecipazione di Dr. John, Jim Dickinson e del London Community Gospel Choir, da un biennio di registrazioni che sigillano il cerchio tra Londra e Memphis, dall’artwork concepito come una confezione di farmaci con dovizia di posologia ed effetti collaterali. La dipendenza, in ogni caso, arriva subito da una title track che inaugura il viaggio: la Radley nelle vesti di hostess, Jason a intonare per un minuto «tutto ciò che voglio è un po’ di amore che porti via il dolore» e una malinconica sfoglia di caramello siderale nella quale naufragare dolcemente.

Leggere attentamente il foglietto illustrativo.

Lo stesso vale per la grazia di estremi in armonia che segue, sublime e irripetibile: Come Together impenna sull’asse Stooges/MC5 profumando di gospel e lustrini, I Think I’m in Love apparecchia una seduta (auto)psicanalitica tra sintetizzatori bisbiglianti, armonica bluesy e ottoni che contrappuntano, la classe rovinosa di Electricity trova un contraltare nella ballata in cinemascope Broken Heart, il country cosmico Stay with Me susciterebbe l’invidia di Bobby Gillespie e All of My Thoughts vive di incontenibili saliscendi.

Right now... ah no.

Cool Waves è l’inno purificatore della Chiesa laica che nel tumulto No God Only Religion riconosce un dogma, laddove Home of the Brave cammina sull’orlo del caos e The Individual lo attraversa omaggiando Sun Ra. Capolavoro nel capolavoro la chiusura Cop Shoot Cop…, epopea dilatata di deflagrazioni e spirali oppiacee in cui Dr. John dirige il carnevale con Miles Davis, Alan Vega e Martin Rev.

Tranquilli: è soltanto la fine dell’amore, non del mondo. La vita va avanti e domani si vedrà. Si vedrà il nostro uomo scampare alla polmonite bilaterale e gli Spiritualized trasformarsi in un cast di strumentisti che gli ruota intorno senza che nulla cambi. Giusto così: Major Jason non conosce altro modo di affrontare la realtà al di fuori della musica e, nonostante le ferite, anima e cuore sono lontani dal bruciare. Per questo da 25 anni non abbiamo ancora smesso di fluttuare nello spazio.

Ground control to Major Jason.

Spiritualized Jason Pierce Spaceman 3 

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