Un mezzo musicista pagliaccio fricchettone diventato da un giorno all’altro un fenomeno di successo su TikTok? Questo il riassunto della storia in superficie, ma in realtà, dietro, c’è molto di più. Peter Martin da Detroit all’anagrafe, già cantante e batterista, continua a fare weird-ass music perché è la cosa che gli viene meglio. Anzi, “meglio” non rende l’idea: gli viene straordinariamente bene.
I’d rather be depressed in California
Oceans got the only blues I need
Petey lo guardi in faccia e sembra Gesù Cristo sballato sullo skateboard, o un prequel del Grande Lebowski, poi però gli arriva una notifica sull’iPhone ed è il suo nuovo video che ha appena superato il milione di visualizzazioni. Una signora lo riconosce per strada e gli dice: «Ho visto tutti i tuoi video! Mi fai ammazzare dalle risate! Anche se forse sono troppo vecchia per stare su TikTok». «Grazie,» le risponde lui con un sorriso «anch’io mi sento troppo vecchio per ‘sta roba».
Petey fa il pagliaccio di professione, nel senso che carica video scemi su TikTok ed è arrivato al punto in cui ogni tanto mette un video in cui fa la pubblicità a una marca di ciabatte, e in un altro appare Fred Durst, e fondamentalmente vive di quello. «It’s such a corporate-capitalism thing,» raccontava l’altro giorno al New Yorker «but this is buying me freedom to make whatever weird-ass music that I want». Non gli daresti due lire a un fricchettone mezzo famoso che fa weird-ass music, vero? Sbagli.
Prima di fare il comico Petey cantava, e prima di cantare suonava la batteria, e non serve molto altro nella vita: ritmo, senso dell’umorismo e una bocca con dentro qualcosa da dire.
Lean into Life è il suo primo disco di canzoni scritte di notte mentre viveva in una tenda da campeggio nel giardino di un amico, tenendo lontani i procioni con una mazza da baseball e registrando i demo con le drum machine prestate e le chitarre scordate e i synth craccati. Si masterizzava i CD con la stessa base in loop per 74 minuti per cantarci sopra in macchina mentre guidava nel traffico verso l’ufficio, ogni giorno per tre anni. Poi tornava a casa (in tenda), si faceva un video scemo, lo caricava su TikTok e andava a dormire. Una mattina aveva un milione di follower, e ha fatto quello che farebbe ogni trentenne quarantenne cinquantenne disoccupato con un milione di follower: mollare il lavoro e fare weird-ass music. Il problema è che è bravo.
One night I had a thought
What if we all did anything we want
We quit our jobs, we went outside
No one can tell us how to live our lives
Il primo nome che viene in mente ascoltando Lean into Life è quello dei Modest Mouse, dichiarata influenza del nostro, ma certi pezzi sembrano gli LCD Soundsystem, altri i cLOUDDEAD acustici, o i Dashboard Confessional con gli arpeggiatori. Ci sono pezzi voce e chitarra con strofe perfette, e altri dove urla «fuck you!» molto forte: come tutti i buffoni di professione, Petey ha dentro delle profondità estremamente scure. Microwave Dinner, per esempio, parla di quando ti guardi in faccia con una persona e vi chiedete: «Ma noi, un figlio, lo vogliamo fare? O non siamo quel tipo di persone?».
«La roba di TikTok è solo un altro aspetto della mia personalità,» ti spiega «forse meno vulnerabile della mia musica, ma ugualmente radicato nella tristezza». Per fortuna che ci sono io, che sono una moltitudine, diceva quello, e Petey emana l’aura della moltitudine, del talento strabordante, del tizio che ha troppe idee e poca voglia, ma qualcosa bisognerà pur fare: ci sono maniere peggiori di vivere che fare video scemi e scrivere canzoni sincere, no?
Lean into Life, il disco giallo, ne ha uno gemello, Other Stuff, il disco verde: una cosa molto Weezer. Se ci fai caso, tutti i gruppi citati in questo pezzo non sono esattamente i primi che ti vengono in mente quando pensi alla “generazione TikTok” (dentro al disco verde c’è la cover definitiva di Crash into Me di Dave Matthews, a proposito di sentirsi troppo vecchi).
Se gli chiedi cosa pensa quando si ferma a pensare, tra un video da finire di montare e una canzone da finire di scrivere, ti dice: «Penso di essere parecchio strano. Ma davvero strano, e un sacco di gente che conosco non manca di sottolineare quanto sono strano. E penso che la musica che faccio sia strana. Cioè, a volte strana, a volte no. Ma anche quando non è strana, a volte è strano che non sia strana. E anche quella roba di TikTok (perché, come ho detto, è un po’ tutto nella stessa specie di bolla per quel che mi riguarda) è solo un modo per approfondire cosa c’è di autentico in me, ciò che penso mi renda così strano. Mi rendo conto che in molti si ritrovano in questa cosa, che sono in tanti a essere veramente strani nel modo in cui io penso di essere strano. E questo è il motivo per cui tutto questo è meraviglioso e mi fa stare bene».
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