Storie di cinismo e di profonda umanità.
È un power trio allo stesso tempo modernissimo e ben conscio delle proprie radici, quello allestito da Gareth Liddiard (ex Drones, oggi nei Tropical Fuck Storm), Jim White, già alla batteria nei sublimi Dirty Three e il pianista Chris Abrahams dei maestri avant-garde The Necks. Ed è – alla luce di un album omonimo intriso di ruvida eppure assai romantica umanità – anche un caso in cui l’operazione spesso controversa del supergruppo funziona eccome. Soprattutto perché l’alchimia è a monte (e nello spirito) per artisti che da sempre rigettano le opzioni semplici e non si addormentano mai sugli allori.
E che stavolta mescolano i rispettivi retroterra in canzoni che alternano cadute nella cupezza a salvifici bagliori. Canzoni che, di primo acchito, potrebbero sembrare scorbutiche per come maltrattano i modelli di riferimento e per come camminano sul filo del rasoio, però fermandosi un passo prima dell’ipotetico sfascio. Ma se gli concedete attenzione, vi spiegheranno che esiste una soglia liminale nella quale le lucide riflessioni e il delirio immaginifico sono tutt’uno.
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Sarete ripagati dell’impegno con gli interessi, come accade in questa fantastica ballata crepuscolare, dove il Nick Cave di metà anni ’90 trascolora nei Black Heart Procession per tuffarsi senza salvagente in acque non troppo scure. Post-folk in sfoglia cantautorale, se proprio occorre una definizione. Ma attenzione: è una questione di prendere o lasciare. Non fatevi spaventare e prendete, perché vita e musica qui sono autentiche, non semplici rappresentazioni o stilemi.
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