Brit si nasce o si diventa da grandi?
Il revival springsteeniano non è certo cosa nuova, ma con Sam Fender sembra che le cose siano andate davvero per il meglio. Seventeen Going Under, la title track del suo secondo album, ripercorre quelle tonalità già recuperate da War on Drugs, Kurt Vile e soci, rendendo l’anima pop e radiofonica all’appannaggio di un mondo fatto di Tik Tok e Youtube-addicted.
Dopo Hypersonic Missiles – disco d’oro nel 2019 – il ventisettenne cantautore britannico medita su rabbia, scazzottate, un membro della famiglia malato e il debito crescente accumulato da uno spietato Department of Work and Pensions. Certo, per parlare di società con termini non adolescenziali sembra ancora troppo presto, ma il tono malinconico e i chiaroscuri del brano fanno brillare l’icona britannica sotto una luce piuttosto affascinante.
«Era un periodo così stagnante che ho dovuto guardare dentro di me e trovare qualcosa, perché ero davvero poco ispirato dalla vita in cui stiamo vivendo», ha detto il ragazzotto di North Shields. La pandemia deve averlo costretto a riconsiderare il motivo per cui alcune “storie” formative continuano ad apparire la notte, prima di addormentarsi su qualche storia Instagram, e perché il processo di crescita e di maturazione a volte finisce per risultare quasi umiliante. I giovani pensano di conoscere il mondo, ma raramente si prendono del tempo per conoscere se stessi, sembra dirci, in una maniera tutto sommato neanche troppo banale.
Vicino a una chitarra elettrica stridente e un controtempo inesorabile, le sue parole evocano sì angoscia, ma anche una certa bellezza specifica, il tutto imbevuto in un sax dall’enfasi (quella sì) tutta springsteeniana, a metà tra l’inno dolceamaro e il singolo da classifica. Probabilmente questa sarà da molti già considerabile come la sua canzone migliore e quella che lo definirà come artista da tenere d’occhio, all’alba del suo divenire ancora più saggio e consapevole.
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