Cose buone dalla Svizzera (mica solo cioccolata e formaggio).
Impossibile averne la certezza, ma ci piace pensare che monsieur Duchamp avrebbe apprezzato questa orchestra dai ranghi ridotti e gli orizzonti ampissimi. Un ensemble elvetico che si è battezzato in suo onore con l’aggiunta di un aggettivo – “onnipotente” – che non risulta affatto vanaglorioso. Basta un ascolto per essere travolti dal mosaico di volti, culture e stili capace di stupire il pubblico dei centri sociali e quello dei grandi festival con la disinvoltura dell’artista che non si pone limiti.
La banda di Ginevra rinuncia agli svolazzi e alle tortuosità, preferendo il gioco a tutto campo delle combinazioni potenzialmente infinite, dell’arguzia e del groove. D’accordo: le sue contaminazioni possono ricordare Rip Rig + Panic, Talking Heads e The Ex, ma è più una questione di spirito che di sonorità, che cogli soprattutto in frammenti sparsi e flash fugaci. Come ci ha già gentilmente preavvisato, infatti, è capace di tutto. Possiede una visione che non lascia fuori nulla, intreccia melodie appiccicose e ibridi inafferrabili dove non vedi la cesura tra folk e funk, Africa e jazz, post e pre.
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Sistemata a inaugurare We’re Ok. But We’re Lost Anyway, Be Patient spiega benissimo quanto sarà fresca l’aria che andremo a respirare. Magnificamente tesa e sinuosa, da un ostinato cameristico memore dei Rachel’s srotola un’ipotesi di Goblin che si credono i June of 44 e nondimeno cantano da Stereolab sotto oppiacei. Quando alla fine la tensione si scioglie di colpo, rimani a bocca spalancata e non smetti più di applaudire.