È andata che ne siamo usciti peggiori.
Non è andato tutto bene.
Nel giro di quasi due anni dai balconi non si applaude più: si riversano invece litri di bile bollente e frustrazione sui passanti, rei di fare o non fare qualcosa. Nessuno vuole più abbracciare il prossimo e il distanziamento fisico è ormai la rappresentazione tattile di quello interiore: la paura, come nell’esperimento di Laborit, ha creato paranoie e caos, trasformando gli individui da animaletti d’appartamento a bestie idrofobe pronte a scattare «impazzite all’odore del sangue, gettate su corpi per farli a pezzi» al minimo sentore di qualcosa che non va. Buona parte della religione organizzata occidentale ha (volutamente?) mostrato la corda e stupisce che la cosa non faccia nemmeno più discutere: Il tutto si è ridotto a un “noi contro di voi”, in una guerra tra simili che (forse per la prima volta in maniera così netta) si svolge in orizzontale lasciando sciolti quelli che vivono su altri piani. Una trasposizione psichica di una guerra civile. Bianco o nero, nessun altro colore è ammesso.
Eppure esiste eccome una zona grigia: la maggioranza silente che, pur seguendo le regole, non vede soluzioni e si sente perduta in una nuova vita fatta di mascherine e vaccini, lockdown e richiami, dove la progettualità è azzerata e niente sembra avere più importanza. E si sente triste, davvero. Sino al punto di decidere poco alla volta di non partecipare (più?) a questo massacro umano che somiglia sempre più pericolosamente a un declino culturale che a un’emergenza in senso stretto, dove le ferite da rimarginare cominciano a essere effettivamente troppe.
La rabbia e il dolore per il mondo che sta intorno, ormai così in preda a una rappresentazione isterica alimentata ad arte da coloro che sostengono tutto e il suo contrario, in una giostra terribile che schiaccia ogni parvenza di logica, senno e umanità vengono ben descritte qui. In musica.
Mütterlein – pseudonimo di Marion Leclercq – dipinge tutto questo su una tela di diciannove minuti e rotti, una lunga e implacabile discesa nell’inferno 2021, fatto da celle di sicurezza, imbottite all’interno ma con baionette puntate verso l’esterno, ognuno chiuso nel proprio ipercubo a doppia mandata mentre con sguardo vitreo i pensieri si accavallano e i concetti diventano man mano sempre più lucidi, taglienti e spietati, come le liriche prima sussurrate e poi gridate di Liars/Wankers, vera polaroid grondante nervi e sangue che fotografa il caos che involontariamente ha travolto e inghiottito buona parte delle anime tendenzialmente miti.
Non torneremo mai al “prima”. Qualsiasi futuro sarà sempre “post”. Le menzogne, di qualsiasi colore siano state, hanno fatto più danni di qualsiasi altra cosa lasciando sul campo cataste di vinti e una manciata di vincitori. Mütterlein non è una cura a questo malessere: è un monito. Prenderne coscienza è il primo passo per combatterlo e rialzarsi.