Barcollare sicuri, in equilibrio su un filo tanto bislacco quanto delizioso.
Laura Marling e Mike Lindsay sono come il cacio e i maccheroni. Lo so che si dovrebbe dire il cacio sui maccheroni, ma lungi da me speculare su chi dei due stia sopra o stia sotto, o quale personaggio ognuno dei due preferisca impersonare in questa ricetta perfetta di role playing per coppie artistiche accoppiate come dio comanda. Ci limitiamo qui a prendere piacevolmente atto che abbinamenti così azzeccati sulla carta raramente trovano una conferma – forse ancora più valida e validata rispetto all’ipotesi che già faceva venire l’acquolina in bocca – nella realtà delle cose. E invece.
La realtà delle cose che scaturisce dalla comunione di intenti tra colei che spesso è stata ingiustamente ingabbiata nel ruolo di semplice (seppur sopraffina) acoustic singer-songwriter e il membro fondatore dei Tunng (che la cosiddetta folktronica se non l’ha inventata poco ci manca) si chiama LUMP e per una volta va a chiudere a chiave in cantina la matematica certezza secondo cui il valore del risultato debba essere per forza uguale alla somma degli addendi. Qui, magicamente, va oltre.
Il trucco sta nella maestria con cui si impastano le singole esperienza passate senza indulgenza, plasmandole in qualcosa di nuovo, con un lavoro di mani nude e cesello per nulla autoreferenziale, ma pronto a scandagliare con una simbolica torcia sperimentale gli angoli inesplorati di quello che il cantautorato generico avrebbe la possibilità di diventare, se per caso qualcuno avesse il coraggio di dargli una spinta. O almeno una pacca sulla spalla, indicandogli la direzione da prendere, anche solo fosse per finire a realizzare che di direzioni da prendere ce ne sono ben più di una. Dopotutto, “melius est abundare quam deficere”, no?
E allora che sia benvenuta questa robusta sintesi di tutto ciò che è a grandi linee inteso come musica digitale e analogica, elettrica e acustica. Che sia benedetto questo tentativo riuscito a meraviglia di intrecciare gustoso baroque pop, soffici spunti danzerecci, indie folk studiato e proto-funk in fasce, con l’attitudine artigianale del marinaio più avvezzo ai nodi che alle promesse.
Climb Every Wall evita di proposito tutti i synth che verrebbero in mente leggendo la buffa e contorta definizione di cui sopra, in favore di accordi semplici raccontati da chitarre pizzicate e pizzicanti, come una sessione di agopuntura su un materasso ad acqua, elastico al pari della sua linea di basso. Una ritmica piuttosto serrata per gli stilemi a cui il duo ci aveva abituato controlla il caos zuccherato a cui porterebbe la miriade di campanelline e fischietti che addolciscono l’atmosfera, pifferai magici che in pratica ti pregano di prenderti il tempo necessario – in quella stessa atmosfera – per farci un bagno, annusarne la fragranza, giocare con la sua schiuma. Uscirne pulito e profumato, insomma, ma soprattutto un pochino più felice.
La Marling lo dice meglio e in maniera più sintetica: «write yourself a map to your healing». Perché nessun altro è disposto a farlo al posto tuo. A parte i LUMP, s’intende.