Deflagrazioni industriali per apocalissi postmoderne.
Quando si è tra i capostipiti di un genere e allo stesso tempo si è baciati dal dio dell’ispirazione le cose sono due: o si sbanca e si diventa megastar multimilionarie o si rimane sempre schiacciati da chi, una volta saccheggiato le idee, riesce a trasformarle in qualcosa di vendibile e fruibile per le grandi masse.
Questo per dire che se il genio di Reznor merita ogni grammo di popolarità acquisito nella carriera, rimane un peccato che pionieri come i Front Line Assembly continuino a essere considerati un gruppo di culto e poco più. Trentacinque anni di attività per la creatura dell’ex Skinny Puppy (un altro santino bene in vista sul comodino di Trent) Bill Leeb (ora affiancato dal veterano Rhys Fulber): una carriera che tra alti e bassi non sembra aver perso un grammo di letalità.
Alone è magmatica, densa, ossessiva, assassina, quadrata e decadente, una danza seducente sopra le rovine del post-electro-industrial che continua a nutrirsi dei rigoli di bit velenosi che scorrono attraverso cataste di PC e synth analogici ormai abbandonati. È il ritorno al tribale usando attrezzi abbandonati dall’uomo moderno. È il piegare le macchine ultraperformanti degli anni ‘20 a un bisogno atavico d’espressione umana. È il grido di sopravvivenza dell’individuo sopra la tecnologia, qui di nuovo serva e non padrona.
È, in parole povere, un gran pezzo, che riassume il modo in cui certe cose andrebbero fatte, per risultare efficaci pur non sottomettendosi a certe richieste del mercato. Con buona pace di alcuni ex amici ormai diventati la parodia metallara di se stessi.
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