Tra dancefloor, poesia di strada e campi di calcio irlandesi.
Conscious hip hop è un’espressione che a molti parrà cosa strana. Termini come questo, tutto sommato, sono sintomo di un impoverimento a cui un genere è andato inevitabilmente incontro, portandolo a diventare banale, scontato, povero. E probabilmente tanto di moda da diventare quasi automatico. Bedroom dance, dicono tali altri. La zona protagonista, comunque, è quella del Regno Unito, e sta sfornando, sia a Londra che a Dublino, alcuni tra i più interessanti fenomeni musicali degli ultimi tempi.
Puntellando le basi e innestandoci un’atmosfera elettronica sognatrice da trance hall, il lavoro di For Those I Love è riuscito a “superare” il genere. Dietro al nome si nasconde tal David Balfe, ex membro dei The Blind e Mothers & Fathers con Pamela Connolly dei Pillow Queens, che già sembra rappresentare la new music made in 2021.
Il dublinese Balfe arriva qui al primo tassello discografico, l’omonimo titolo del progetto, For Those I Love, album che è stato accolto con successo dalla critica tutta per le sue tinte fosche eppur così capaci di entrare immediatamente in un tessuto sociale che ha nei beat e nella rima di strada la sua più facile rappresentazione sonora. Il disco, insieme a quello dei vicini Murder Capital (When I Have Fears) è dedicato alla scomparsa figura di Paul Curran, amico e poeta, membro del collettivo punk irlandese Burnt Out.
I biancoeneri che tingono spalti e campo della Shelbourne F.C. drappeggiano un piacevole comparto immaginifico di To Have To che finalmente (scusate, dovevamo dirlo) esula dagli standard della droga e dello scopare le bitches di turno, senza smettere di essere uno di strada, un maledetto, uno che se ne è andato. La capacità del brano è quella di evocare, tributare, parlare di e non, come spesso accade, trattare una tragedia con colori che non le sono propri, usandola come mezzo a proprio vantaggio compositivo. Anche se ci si trovasse, in discoteca, a brindare in ricordo di un amico che si è tolto la vita.
Questa spoken word da dancefloor, costruita sui campioni accelerati di Everything I Own dei Bread, funzionerebbe perfettamente in un contesto danzereccio da Sziget Festival, eppure, se guardato e ascoltato con gli occhi e le orecchie giuste riuscirà, seppur con la sua malinconica rêverie, a ridestare le potenzialità del melting pot tra elettronica, hip hop e street poetry. Proprio in quei campi di calcio irlandesi.