C’è chi durante il lockdown ha imparato a fare il pane e chi invece scrive e registra un disco.
Nell’incertezza costante che si porta appresso quest’epoca di pandemia globale, una rassicurante conferma giunge da Göteborg. La conferma si chiama Escape of the Phoenix, è il dodicesimo disco degli Evergrey in 23 anni di vita, ed è stato composto e registrato nel 2020 in pieno lockdown.
Ora, l’elemento di conferma non è tanto dato dalla costante prolificità di Thomas Englund, quanto il fatto che è proprio la sua musica ad avere canoni rassicuranti. Ci avete mai pensato? Progressive ma non troppo, heavy ma non troppo, melodici senza stucchevolezza, oscuri senza tetraggini, tecnici senza onanismi. Gli Evergrey sono il punto mediano di diverse tendenze metalliche, e di fatti mettono d’accordo un po’ tutti, non richiedendo adesioni alla causa dell’estremo. Un giorno verrà fuori che Everybody Loves a Chubby Dude i Turbonegro l’hanno scritta pensando a Englund, e quel giorno io potrò dire ve l’avevo detto, perché tutti amano quel quel ragazzone un po’ panzuto che posta su Facebook le foto della famiglia al mare e quelle del matrimonio, ma poi sa anche scrivere un disco tra il “bello” e il “notevole” ogni due anni. Gli si può voler male a uno così? Ecco, appunto.
Where August Mourns, uno dei singoli estratti (c’è anche il video: loro suonano su un palco in un teatro vuoto – metafora del lockdown? C’entra niente? Boh), è una delle cose migliori di un album che è tra i migliori della band – per tiro, linee melodiche, chorus. E se di quanto abbia una bella voce Thomas Englund non c’è più ragione di dire (sentitevi il pezzo in cui canta con James LaBrie dei ben più noti Dream Theater e chiedetevi chi mette in ombra chi), vale invece la pena citare Henrik Danhage, uno dei chitarristi metal che suona con maggiore feeling rock’n’roll lo strumento: l’assolo di Where August Mourns vale il 50% della bellezza del brano.
No surprises, come direbbero i Radiohead. Conferme, appunto.