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Emma Ruth Rundle: Return
Bellezza, giungi tu dai cieli o dall'inferno?

Il fascino decadente nascosto nel mausoleo cimiteriale del cantautorato oscuro.

Tutti si aspettavano un passo falso dalla maggiore esponente di una delle più interessanti nuove forme prese dal songwriting post-metallaro intimo e darkeggiante. Se infatti collaborazioni con Thou, Chelsea Wolfe e onnipresenza nel panorama roadburniano hanno, da un lato, portato la losangelina ex Red Sparowes a un ruolo di rilievo, dall’altro le stesse identiche cose hanno rischiato di impoverire sempre più la fragilità e l’intimità sprigionata dalla sua proposta musicale.

Engine of Hell invece, funziona proprio là dove lo aspettavamo al varco, nel suo offrirsi come diario purgatoriale di un’artista. Il suono è scarnificato dal punto di vista timbrico, ma la potenza espressiva viene arricchita con una forza emotiva di sicuro impatto, che fa davvero brillare la sua compattezza.

Return è l’esempio perfetto di un prodotto che suggella la Rundle come una delle più convincenti figure che ruotano intorno al fenomeno “post” mondiale. Un brano di un’intensità interpretativa disarmante, in cui il calore del pianoforte e della voce esprime la vera intimità di un testo che sarà pur parte di tropi che ormai girovagano dappertutto nel settore (vero, Chelsea Wolfe e Converge?), eppure è tutto meno che vicino al suonare di plastica.

Il video, poi – anch’esso a galleggiare in quella terra di nessuno che sta tra la Wolfe e le patinature di Vogue – contribuisce in maniera efficace a presentare un’artista (qui anche regista, per dire) tanto teatrale quanto viscerale. Maledetta eppure poppeggiante. Intima e fragile, ma consapevole del peso del mondo, in questo mausoleo in cui, dopotutto, fa bene tornare.

Emma Ruth Rundle Chelsea Wolfe 

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