Il cuore nero del Sud.
«Ho cominciato a lavorare ad A Southern Gothic [il suo terzo album, prodotto da T Bone Burnett, n.d.a.] nel novembre del 2019, a Parigi», racconta Adia Victoria, «stavo leggendo un libro di racconti di Eudora Welty ed è stato il suo Moon Lake a regalarmi l’ispirazione per scrivere My Oh My».
La canta in duetto con Stone Jack Jones, che ha incontrato nel 2013, quando condividevano lo stesso manager. «Jack aveva questo spazio vecchio e molto inquietante in cui mi ha permesso di lavorare e di esercitarmi con la mia band. Mi ha aiutato molto, è stato una sorta di figura paterna, io lo chiamo il mio papà fantasma. Nel 2016 lui e la moglie si sono trasferiti a Parigi e a gennaio dello scorso anno sono stata da loro per più di un mese a scrivere musica. Conoscerlo e frequentarlo è stato molto istruttivo per me, sia a livello professionale, sia dal punto di vista umano».
In My Oh My un banjo essenziale si intreccia a chitarre lievi, dando vita a un suono strisciante, umido come la terra da cui Victoria proviene – la Carolina del Sud – e su cui cerca di lasciare il segno: «A cosa pensiamo quando pensiamo al gotico sudista o alla letteratura sudista? Di solito gli scrittori neri sono esclusi dal discorso. Si citano sempre William Faulkner, la Welty, Flannery O’Connor, più raramente Alice Walker. Volevo entrare a far parte della storia del Sud, volevo che la storia di una ragazza di colore fosse considerata emblematica dell’esperienza sudista tanto quanto le storie di Faulkner».
E la sua voce morbida, che mescola innocenza e maturità – supportata dal timbro più profondo di Jones – il segno lo lascia eccome: regala a questo folk scuro l’inquietudine necessaria a renderlo ipnotico.
Adia Victoria Stone Jack Jones
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