New Music

Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Zitti zitti, i Mogwai sono i numeri uno

Post-rock beats to lockdown to.

I Mogwai non sono cambiati di una virgola e sono finiti primi in classifica, quindi forse siamo cambiati noi: abbiamo capito che non c’è bisogno del cantante.

La continuazione di un amore

Come si fa a dare un titolo a un quadro astratto? E a un pezzo di musica strumentale? Puoi avere poco tempo da perdere e cavartela con Composizione 12, Improvvisazione #32, Frammento o Notturno, e tanti saluti. Ma uno quando è poeta è poeta, non può mica farci niente: se scrive una canzone strumentale, la chiama Nel bidone, amico mio, stasera svuotiamo la terra. Se ne scrive un’altra, la chiama Fanculo ai soldi. E l’ultima del disco la chiama Mamma, è questa la cosa che voglio fare.

Onestà intellettuale #1

Il poeta si chiama Stuart Braithwaite e il suo gruppo sono i Mogwai. Il loro ultimo disco si chiama As the Love Continues e per la prima volta in 25 anni di carriera è arrivato al primo posto delle classifiche di vendita in Inghilterra. «It’s not the kind of thing that enters into our orbit – ha detto Stuart – it’s totally surreal». Però era contento.

Essere una rockstar oggi.

Niente di nuovo sotto la pioggia

I Mogwai sono vent’anni che fanno la stessa canzone ed è sempre uguale: inizia a centrocampo con le corde grosse di una chitarra suonate piano, una alla volta, un riff onesto, gentile e preso male. Il batterista tira il carretto senza farsi troppo notare, ma a ogni nuovo giro s’incattivisce impercettibilmente. In difesa il bassista ha già iniziato a spaccare delle caviglie, ma l’azione è tutta concentrata nella metà campo avversaria tra sintetizzatori, chitarre che si aggiungono a chitarre, vocoder e violini radioattivi. Sono passati solo due minuti e la canzone è già molto gonfia, ha camminato in salita ed è quasi arrivata in cima, iniziano a spuntarle i baffi, è una palla di fuoco che diventa di cuoio. Braithwaite riceve la sfera, avanza sulla fascia sinistra, fa una finta sul pedale del distorsore, scarta due avversari e vede il batterista che apre il charleston e inizia a picchiare più forte sul rullante, Braithwaite la butta in mezzo e SBRANG!, una martellata su un piatto grande come la luna e una muraglia cinese di chitarre telluriche e bassi maleducati per almeno altri due o tre minuti, molto forte, incredibilmente vicino, finché il triplice fischio di un ultimo colpo di piatto decreta l’ennesima vittoria dello squadrone. Non c’è proprio gara.

Fa ridere perché "Scozia" in francese si dice "Écosse", che in bocca a uno scozzese sembra "Echoes".

Tutte esplosioni e niente ginnastica

Lo chiamano post-rock, ma questa roba la faceva già Gioacchino Rossini due secoli fa: Pianissimo e subito Fortissimo, le cavalcate, le frasi ossessive che si incrociano e modulano senza nessuna vergogna, i riff che partono e tornano trasformati, i crescendo infiniti, i finali con le cannonate. L’idea di usare le chitarre elettriche e la batteria e il basso distorto e i sintetizzatori e fare musica strumentale era già venuta ai gruppi psichedelici e prog degli anni ‘70, dai Pink Floyd in giù.

Un gruppo di musica strumentale ha lo stesso problema che ho io in questo preciso momento: come faccio a tenere sveglia la tua attenzione? Come faccio a non essere letto di sfuggita, ascoltato in sottofondo, mangiato di fretta in piedi di fronte al frigorifero? Come facevano, i gruppi rock strumentali dei nostri padri, a non farci morire di noia? Assoli pirotecnici. Virtuosismi. Tempi dispari. Suite in 4 parti. Bach sotto steroidi. Frasi corte, o evidenziate in grassetto. Qualcuno ci cascherà inevitabilmente, il circo ha sempre il suo fascino, ma se ci pensi è un po’ una baracconata: fai un salto mortale perché non sai ballare il tango, sembri un camionista che vuol fare la ballerina. La tecnica deve essere al servizio della creatività, giusto? Non siamo mica venuti a vederti fare ginnastica.

L'unica persona che siamo venuti a vedere fare ginnastica.

I Mogwai non fanno ginnastica, guarda che pancia che hanno messo su. I Mogwai non sono mai stati dei virtuosi. I Mogwai hanno bevuto troppe birre e ascoltato troppi My Bloody Valentine per preoccuparsi di distinguere un accordo diminuito da uno semidiminuito: il loro trucco da circo, il modo che hanno scelto per farti drizzare le orecchie senza cantare, è sempre stato e sarà sempre il rumore. Non deve essere necessaria troppa perizia tecnica per suonare in una cover band dei Mogwai, bastano i pedali giusti e i tappi per le orecchie. È più difficile scriverle, delle canzoni così: delicatezza e cattiveria in parti uguali, un ordine che incontra il proprio senso solo nel caos, canzoni che usano le distorsioni come Michael Bay usa le esplosioni. I Mogwai non hanno una canzone che si chiama Michael Bay, ne hanno una che si chiama Stanley Kubrick, va bene uguale?

Ma pure Luis Buñuel, a pensarci bene.

Music to fare qualcos'altro to

Adesso che i Khruangbin li conosce anche mia zia di Forlimpopoli, questo fatto di non avere un cantante nel gruppo si porta decisamente meglio in società, ma io inizio ad avere una certa età e mi ricordo di quando a vent’anni facevo sentire i Mogwai alle ragazze per darmi delle arie da intellettuale e il commento inevitabile era: «Bello. Quando cominciano a cantare? Ah, non cantano? Senti, come ti dicevo, non so se scrivere un messaggio a questo tizio o aspettare che mi scriva lui e…». E niente: fine dell’ascolto attivo, inizio della – brrr – musica di sottofondo.

Più o meno la differenza tra una birra da mezzo litro in lattina e un calice di Chianti.

La musica strumentale, i relaxing lo-fi chill beats, l’ambient, hanno questo pregio-difetto di incoraggiare la gente a parlarci sopra, ad addormentarci una figlia, o a metterli in sottofondo per lavorare o fare yoga, tutto bellissimo, eh, tutto meno che ascoltarli con attenzione, perché hai altro per la testa: Erik Satie, che era un genio, la chiamava musique d’ameublement. Poi magari appunto sei i Khruangbin e trovi il modo di tenere sveglia la gente con le scale arabe e l’estetica vintage thai-funk. O sei i Sigur Rós, e invece delle frangette hai i folletti. O sei un gruppo prog metal becero e fai trecento assoli al secondo, la ginnastica che dicevamo prima. O sei i Mogwai e inizi a menare come un fabbro.

Tra il minuto 17 e il minuto 19, per esempio.

Posso mettere una foto di Brian Eno in pigiama?

#piastrelle

La scarsa necessità di una mucca

È come dipingere un paesaggio di montagna, con un prato verde e un laghetto e i monti sullo sfondo e il cielo azzurro: tutto bellissimo, ma se in mezzo al prato c’è una mucca, la gente vedrà solo la mucca. (Brian Eno)

Ecco, il cantante è la mucca. È un male necessario, la mucca, si direbbe: è normale mangiare carne, è normale che alle prove del gruppo a un certo punto uno dica: «Tranquilli, ragazzi, ci penso io: i testi li scrivo io, li canto io, le barzellette tra un pezzo e l’altro le racconto io, con i giornalisti ci parlo io, se c’è da togliersi la maglietta e muovere un po’ il culo potete contare su di me». Ma anche no, giusto? Si può essere vegetariani. Si può suonare post-rock. Non c’è bisogno della mucca.

Il cantante è quello in mezzo alla stanza.

Non so se i Mogwai siano vegetariani o se questa metafora sia calzante, ma spero si sia capito: «La gente normale mangia la carne», direbbe mia zia, o forse mia nonna. I gruppi normali hanno il cantante. Stuart Braithwaite effettivamente ogni tanto si avvicina al microfono e, ehm, canta, con una voce che potremmo ben definire una voce qualsiasi. Succede nella loro canzone più famosa (Portami in un bel posto) ed è successo di nuovo nell’ultimo singolo Ritchie Sacramento, un’inspiegabile canzonetta rock da quattro accordi un po’ fuori contesto in un disco che per il resto non delude affatto le aspettative, come si suol dire.

Un pezzo un po' meh dei Mogwai è comunque meglio del miglior pezzo del tuo gruppo.

Magari le tue aspettative, se sei un fan dei Mogwai, sono che i Mogwai a un certo punto facciano la mossa Radiohead e vendano metà delle chitarre e tirino fuori un disco tutto bleeps and bloops e dicano che si sono stancati di suonare Stanley Kubrick, ma non è ancora successo. Per quanto mi riguarda potrebbe non succedere mai, se vuoi ne parliamo, tanto ormai siamo rimasti solo io e te.

@plasmatron (in piedi) e @princeofglasgow (in piedi anche lui, ma su quattro zampe).

La Scozia che lavora

Tra vaccini e zone colorate dovremmo avere altro per la testa, cosa vuoi che ce ne freghi di chi finisce primo in classifica in Inghilterra una settimana del primo trimestre del 2021, con la Brexit e tutto? Ma qualcosa vorrà pur dire, e secondo me ha a che fare con questa faccenda della musica senza cantante: per un momento, in un’isoletta del Nord Europa, il cosiddetto pubblico generalista ha preferito ascoltare musica strumentale dolce e violenta, ha deciso di premiare, mi viene da dire, la scelta di un gruppo di rinunciare ad avere un leader, un frontman. Un gruppo che fa musica orgogliosamente fuori moda, per usare un’altra espressione un po’ abusata.

Un altro luogo comune un po’ abusato è che tra reti sociali e Spotify e TikTok e trick e track la nostra soglia di attenzione si sta abbassando vergognosamente: siamo dei criceti incatenati alla slot machine del cellulare e qual è l’ultimo romanzo che hai letto fino in fondo? Ma cosa dico romanzo, l’ultimo post che hai letto fino in fondo? I geni del male della musica pop lo sanno e ci iniettano una pera di dopamina ogni 7 secondi: un coretto, un suono buffo, una parolaccia o un nome di città nel testo, altrimenti ci annoiamo. Le canzoni durano sempre meno e iniziano sempre più spesso dal ritornello e internet sta facendo ai nostri genitori quello che i nostri genitori dicevano che i videogiochi avrebbero fatto a noi.

Ecco, forse la musica dei Mogwai è una cura come un’altra a questa malattia della fretta, lo era vent’anni fa quando il mondo andava un po’ più lento e continua a esserlo oggi, no news is good news, todo bien, cheers lads, complimenti, fateci sapere quando venite a suonare da queste parti.

Onestà intellettuale #2

E comunque non c’è niente di male con le canzoncine da due minuti che iniziano direttamente dal ritornello, eh.

Mogwai 

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