Quante volte vi è capitato di non sentirvi a proprio agio. Un abbigliamento sbagliato, un taglio di capelli obsoleto, l’evento a cui non volevate partecipare, una cena piena di sconosciuti, i peli sulle gambe che avevate dimenticato di depilare prima della spiaggia. Bene, conviene rivedere con attenzione il vostro concetto di “disagio”: non c’è niente di nemmeno lontanamente paragonabile al non sentirsi a proprio agio nel proprio stesso corpo. L’appassionante vicenda personale e pubblica di Laura Jane Grace – la cantante degli Against Me!, in precedenza nota come Tom Gabel – lo dimostra in modo molto eloquente.
Il libro intitolato ‘Tranny - Confessioni di una Punk Anarchica Venduta’ è stato appena pubblicato in Italia da Tsunami Edizioni (con l’eccellente traduzione di Valeria Presti Danisi). Si tratta dell’autobiografia di Laura Jane Grace, da sempre leader degli Against Me!, scritta assieme al giornalista Dan Ozzi. Una testimonianza forte da parte di un’artista nata nel corpo “sbagliato” e che, adolescente, ha abbracciato il filone del punk rock radicale e militante (salvo conoscere il sapore agrodolce del successo commerciale, anni dopo).
Ho conosciuto il gruppo americano abbastanza “tardi”, grazie a un tour del 2012. Cioè poco dopo l’uscita dell’articolo su Rolling Stone, nel maggio del medesimo anno, in cui Tom Gabel/Laura Jane si presentava al mondo come transgender. Le foto di corredo al pezzo mi rimasero impresse per molto tempo e la storia stessa – il fatto che avesse una moglie e una figlia e che quasi tutti le si fossero stretti attorno, dopo l‘“annuncio” – rendeva l’intera faccenda una memorabile favola moderna.
Avrei dovuto indagare più a fondo.
In occasione della stessa tournée, rimasi stupita dall’omissione del coming out di Grace da parte della stampa italiana – che continuava a chiamarla “Tom”, nome di battesimo e odiato fardello. Lei ci aveva messo molto per liberarsene e trovai profondamente ipocrita la visione “democristiana” dei nostri media. Mi piace pensare che oggi le cose siano diverse; eppure, nelle ricerche per questo articolo, mi sono resa conto che le informazioni scarseggiano e i cliché imperano ancora. Col rischio di sbagliare, vi spiego che cos’ho capito io.
Laura Jane Grace nasce Thomas James Gabel nel novembre del 1980. Suo padre, un Maggiore dell’esercito americano, porta la famiglia in giro per basi militari in tutto il mondo (Italia compresa). Quando i genitori divorziano, Tom si stabilisce in Florida assieme alla madre. Nel 1997, complice la stabilità e al tempo stesso la noia indotta dalla piccola cittadina di Naples, dà vita al progetto solista Against Me!: col senno di poi, un nome che dice un po’ tutto del conflitto interiore che stava già provando.
Non passa molto tempo prima che la formazione si arricchisca: negli anni, gli Against Me! cambieranno vari membri e altrettante etichette, in un’estenuante ricerca di far quadrare cose che non avrebbero funzionato comunque, dato che tutta l’irrequietudine di Gabel veniva probabilmente riversata nel gruppo per evitare di affrontare la vera causa di una frustrazione così profonda.
Come se non bastasse, Tom aveva abbracciato una filosofia (musicale e di vita) non certo facile: il punk. Si schiera dalla parte dei reietti e sperimenta droghe di ogni tipo per allontanare il disagio prorompente e costante che lo accompagna in ogni situazione – comprese quelle più “scomode”, come l’arresto dopo un pestaggio da parte della polizia per ragioni del tutto arbitrarie e futili. Come dire: essere un ragazzino punk emaciato per le strade “provinciali” degli Stati Uniti del sud, a cavallo fra la fine degli anni ‘90 e l’alba del terzo millennio, ti rendeva automaticamente un bersaglio facile (e da allora la situazione non è cambiata di molto, si direbbe).
Gli anni dell’adolescenza sono una sequela di situazioni difficili, sia personali che professionali; più tardi, l’identità punk comincia a stridere con il crescente successo della band. E come da copione, la scena underground e indipendente, che aveva accolto e cullato gli Against Me! fin dal principio, non perdonerà il passaggio a una casa discografica major (concretizzatosi con l’album New Wave del 2007).
Nel frattempo Tom Gabel lotta ogni giorno tra il desiderio di travestirsi da donna quando nessuno può vederlo – e qui la vita “on the road” può essere una grande agevolazione – e la vita “reale”, in cui si sposa due volte e nel 2010 diventa padre di Evelyn insieme alla seconda moglie Heather Hannoura (talentuosa illustratrice di una certa scena punk americana).
E proprio Heather sarà la prima, sorprendente (?) sostenitrice del suo coming out. Rolling Stone, infatti, la descriverà come una donna in grado di comprendere ogni decisione del marito e sostenerlo/a – a patto di trasferirsi dalla bigotta Florida, dove ogni giorno si trovava ad affrontare un muro di perbenisti giudicanti ed episodi di discriminazione per tutto quello che la famiglia Gabel rappresentava (anche prima di quelle dichiarazioni pubbliche).
Un edificante quadro di amore, rispetto e apertura mentale… in parte offuscato dal divorzio della coppia, avvenuto nel 2013. Le idee – anche quelle più belle e illuminanti – si schiantano fragorosamente contro il muro della quotidianità, a volte.
Vien da domandarsi, in ogni caso: possibile che prima del 2012 nessuno si fosse accorto della sofferenza di questa persona, nemmeno nella più stretta cerchia di conoscenze? Vero è che lui stesso sapeva come nascondersi bene, quando sentiva che un “episodio” stesse per verificarsi. Ma ascoltando qualche pezzo degli Against Me!, anche in maniera superficiale, un paio di dubbi legittimi sarebbero dovuti emergere.
Tranny racconta di un conduttore televisivo che per primo, pare, si fosse preso la briga di analizzare alcuni testi degli Against Me!, per poi porre domande scomode a Gabel. Riuscendoci.
Nelle sue ricerche, l’intervistatore avrebbe potuto rifarsi tranquillamente a pezzi come Turn Those Clapping Hands into Angry Balled Fists, contenuta in As the Eternal Cowboy del 2003, in cui Tom cantava: «But I’m not gonna tell anyone / What I’m really thinking about / Keep the conversations on the surface / Just keep on smiling».
Oppure a The Ocean , da New Wave, in cui si spingeva persino oltre, raccontando al mondo la sua vera identità (con 5 anni d’anticipo o 27 di ritardo): «If I could have chosen, I would have been born a woman / My mother once told me / She would have named me Laura / I would grow up to be strong and beautiful like her».
Certo è che dopo il coming out, le sue canzoni hanno preso un’altra direzione in termini di “messaggi subliminali”. Nel 2014 esce Transgender Dysphoria Blues, un disco la cui traccia omonima recita: «You want them to see you / Like they see every other girl / They just see a faggot / They’ll hold their breath not to catch the sick», tradendo un’insicurezza e un’emarginazione non ancora del tutto sopite.
“Tranny”, in italiano, non è altro che l’equivalente di “travone” , ma in questo caso anche un documento straordinario che testimonia quanto gli esseri umani possano essere complessi – e di quante e quali realtà significative rimangano totalmente al di fuori della nostra piccola bolla personale, a volte.
La cantante degli Against Me! non ha nemmeno girato tanto intorno al succo del discorso, spiegando che il titolo serve a fare i conti con il linguaggio comune che chiunque si trova a dover affrontare nel mondo. La parola, di per sé, non viene demonizzata, ma va contestualizzata e molto dipende anche da chi viene usata e in quale occasione.
Partendo dalla sua infanzia, Laura Jane Grace racconta ogni momento segnante della sua vita nel corpo “intruso”, avvalendosi anche di estratti dal suo diario e con date, luoghi e riferimenti a persone e situazioni che, di volta in volta, danno al lettore una visione sempre più ampia e completa di che cosa significhi essere transessuali ancor prima di dichiararlo al mondo esterno.
Mi ha colpito molto il senso di persecuzione vissuto dall’autrice durante tutti gli anni in cui il suo malessere covava sottopelle; in generale, quando Laura Jane parla ancora attraverso la voce di Tom (e questo nel libro viene tradotto molto bene, rendendo la narrazione al maschile pre-coming out e al femminile nel “post”), sembra che tutto il mondo sia contro di lui. Non solo amici e parenti, ma anche membri della sua band e musicisti conosciuti in tour, come Matt Skiba degli Alkaline Trio o Philip Chevron dei Pogues.
Magari Gabel incontrava solo gente che lo trattava come un reietto, ma non riesco a togliermi dalla testa che, probabilmente, buona parte di quelle persona non avesse particolare rancore nei suoi confronti. Il tutto derivava dalla rabbia che rivolgeva contro se stesso, semmai, non essendo in grado di prendere la vita in mano e affrontarne le conseguenze.
Per disforia si intende un tipo di sentimento, un disagio che indica «un’alterazione dell’umore in senso depressivo, accompagnata da irritabilità e nervosismo. È l’opposto dell’euforia» (cit. Wikipedia).
La disforia di genere, che accompagna tutta la narrazione sin dalle prime righe, non è altro che il termine scientifico che indica «una particolare condizione per la quale un individuo si identifica in modo forte con il sesso opposto a quello proprio biologico o, in ogni caso, a quello che è stato anagraficamente assegnato dopo la nascita. Questo tipo di disforia è però indipendente dall’orientamento sessuale» (cit. Treccani).
Una persona che soffre di disforia di genere nasce in un corpo che non riconosce come suo; una donna, dunque, nel corpo di un uomo o, viceversa. Riuscite a immaginarlo? Riuscite a pensare cosa significhi guardarsi allo specchio e capire che quella persona riflessa non siete voi, nell’aspetto, nella voce, nei tratti che dovrebbero identificarvi maggiormente, quelli appunto di genere? La condizione descritta da questo libro è spaventosa e tocca svariati temi, a partire dall’attrazione sessuale.
La stessa Laura Jane Grace, nel proprio diario, spiega come la sua attrazione per le donne non sia mai stata messa in discussione (se non dopo l’assunzione degli ormoni femminili nel percorso di transizione). Già questo è indicativo di quanto il discorso sia complesso e difficile da districare, anche per chi si trova a soffrire di disforia di genere in prima persona.
Come se non bastasse, esistono degli aspetti nell’affrontare la transizione che non sempre vengono considerati. Oltre alle difficoltà di cui abbiamo parlato, anche in questo campo la società in cui viviamo si rivela per quello che è: ipocrita e maschilista. Lo dimostra il fatto che la maggior parte delle donne che scelgono di diventare degli uomini sono generalmente “accettate” meglio di coloro che, da uomini, decidono di intraprendere un percorso per diventare donne. Perché non importa contro cosa tu stia lottando: ricordati sempre che è più facile comprendere perché uno voglia diventare uomo (loro sono meglio!), piuttosto che vedere un uomo rinunciare ai suoi privilegi, diventando donna (soggetto da schernire e bullizzare, target automatico per gli idioti).
Nel 2014 Laura Jane Grace è stata protagonista e narratrice della mini-serie di 10 puntate, prodotta da AOL Studios, True Trans, affrontando la questione della disforia di genere da ogni punto di vista possibile – e cercando di fare chiarezza sui cambiamenti che investono i protagonisti di questa condizione e le persone che li circondano, inclusi familiari, amici e società.
L’Italia del 2019 non è esattamente la culla del rinascimento transessuale d’Europa; tuttavia, stando ad alcuni programmi televisivi più o meno noti, l’argomento non è così tabù come si potrebbe magari pensare di primo acchito.
Partiamo da La Effe, canale 135 di Sky: Love Me Gender affronta le tematiche dell’identità di genere in maniera diretta e semplice.
Persino Mamma Rai, incredibilmente, manda in onda in seconda serata una Sabrina Ferilli scatenata in Storie di Genere: la disforia di genere spiegata agli adulti.
Si continua con Butterfly: miniserie Fox (Sky, canale 114), la disforia di genere attraverso gli occhi di un bambino.
È lecito pensare che Tranny sarà un tassello importante nell’educazione e conoscenza del fenomeno della transizione e del mondo transgender, contribuendo a rivelare una realtà da diversi anni sotto gli occhi di tutti (vedi Antony Hegarty degli Anthony and The Johnsons, che nel 2016 ha cambiato il suo nome in Anhoni), ma volutamente ignorata più per convenzione che per convinzione.
Oggi Laura Jane Grace è una donna che porta avanti una famiglia, più di un progetto musicale – oltre agli Against Me! e la sua carriera solista, la ritroviamo insieme a Atom Willard e Marc Jacob Hudson a nome Laura Jane Grace and the Devouring Mothers, in tour in questo 2019 – e ha fatto di se stessa la portavoce dei diritti delle persone che si confrontano ogni giorno con la disforia di genere. Tutti traguardi che le sono costati anni di fatica e sofferenze, raccolte mirabilmente in questo memoriale.
Mi auguro che la nostra società condivida lo stesso destino: si può decidere di ignorare la verità per anni, o anche decenni, ma alla fine verrà sempre fuori e sarà una bellissima rivoluzione.