Bonus track(s): un EP per chiudere il cerchio.
Intervistatore – Ti piace qualche band attuale?
Siouxsie – No.
Intervistatore – Credi che le persone in Inghilterra siano più politicamente attive e partecipi ora rispetto al passato?
Siouxsie – Non lo so, non lo voglio sapere, non mi interessa.
Intervistatore – Credi che la vostra band abbia influenzato molte persone?
Siouxsie – Spero di no.
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Il rimpiazzo di Robert Smith risponde al nome di John Valentine Carruthers, ex Clock DVA, che permette ai Banshees di continuare il tour del 1984 già a giugno.
Viene presentato al pubblico ufficialmente a ottobre con quello che resterà l’ultimo lavoro davvero interessante della band. Ripreso da un progetto iniziato a fine 1982 ancora con Smith (anticipato da comparsate televisive ma mai portato a termine) The Thorn è un EP in cui le velleità artistiche in ascesa di Severin e Siouxsie guardano al passato rileggendolo, e il risultato è incredibile. Le nuove versioni di Overground, Placebo Effect, Voices (on the Air) e Red over White, pur facendo storia a sé, arricchiscono il catalogo della band con quattro riproposizioni da brivido. Dove viene a mancare l’urgenza comunicativa degli esordi troviamo un gusto ineccepibile nel far funzionare gli archi e l’orchestra che qui non risultano ridondanti o banalmente posticci ma anzi, trasportano i brani su livelli completamente diversi facendone di fatto dei nuovi capolavori.
Purtroppo dopo questo episodio estemporaneo, la carriera dei Banshees smetterà definitivamente di essere influente. Certo non mancheranno dei brani godibili e ben confezionati, ma la sensazione è che il motore sia ormai spento da un po’ e che tutta la baracca vada avanti per inerzia. Troppi cambi di chitarrista (almeno 5 fondamentali, più altri), troppi interessi musicali al di fuori della band, equilibri saltati in aria (mai fidanzarsi con un membro del gruppo – in poco tempo la percezione di Severin è passata da membro fondatore a “bassista di Siouxsie e Budgie”), forse anche una certa delusione nel non essere mai riusciti a sfondare davvero nel mercato americano nonostante gli svariati tentativi celati dalle solite dichiarazioni tipo “facciamo solo quello che vogliamo” (certo, come no).
In realtà Tinderbox sarebbe stato un’ottima opera prima per una band emergente, ma nel catalogo dei Banshees sembra un mezzo passo falso. Through the Looking Glass è carino, ma è pur sempre un disco di cover, mentre non basta aggiungere un tastierista (Martin McCarrick, già collaboratore esterno su The Thorn) e cambiare nuovamente chitarrista (l’eccellente ex Specimen, Jon Klein) per rendere Peepshow un album memorabile. Va anche peggio con il patinatissimo Superstition e il prolisso e fuori fuoco The Rapture, dove nemmeno la produzione di John Cale riesce a salvare un album sin troppo ampolloso e a tratti imbarazzante. Fa storia a sé invece il singolo Face to Face uscito per Batman Returns, ma qui lo zampino di Denny Elfman in fase di composizione e produzione si fa sentire in maniera schiacciante.
Sciolti i Banshees, Severin coltiverà una carriera solista incentrata perlopiù sulla composizione di colonne sonore mentre Budgie e Siouxsie continueranno insieme per altri anni con i Creatures regalando ai fan almeno un altro capolavoro, quell’Anima Animus che, pregno com’è di ottimi brani, meriterebbe un discorso a parte. Lasciamo poi perdere il disco solista della regina della notte, il suo essere diventata completamente afona e gossip vari su divorzi e bisessualità.
Al netto di tutto ci restano almeno quattro album incredibili che hanno fatto la storia della musica moderna, affiancati da una serie di brani imprescindibili e una donna che è diventata a diritto una delle icone più influenti degli ultimi decenni, sia per i camaleontici look sia per un’attitudine artistica che ha avuto poche eguali in un ambiente dominato dagli uomini. La frontman (frontwoman è ridicolo, su) per eccellenza rimane lei. Tanto basta per entrare nella leggenda.