E se lo scarto di un capolavoro fosse esso stesso un capolavoro?
“I Figli Del Grano” (Children of the Corn) è un racconto del maestro dell’horror Stephen King, pubblicato inizialmente nel marzo 1977 su Penthouse e poi incluso nella raccolta “A volte ritornano”. Narra la storia di una coppia in crisi che decide di intraprendere un viaggio per risollevare le proprie sorti. Si ritroveranno in un villaggio abitato solo da bambini che, seguendo un culto religioso che venera una divinità nota come “colui che cammina dietro i filari”, si uccidono l’un l’altro prima dei 18 anni in segno di sacrificio. L’adattamento cinematografico più di successo è il celebre “Grano rosso sangue” del 1984.
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Il 6 giugno 1981 esce Juju, l’ultimo vero masterpiece della band. L’ascolto ossessivo dei Doors, le ritmiche tribali e innovative di Budgie, gli arrangiamenti stellari di McGeoch, un Severin ispirato come non mai, una manciata di liriche che affrontano varie sfaccettature del lato oscuro e una Siouxsie in grande spolvero fanno del quarto album dei Banshees una vera e propria pietra miliare che ha influenzato e rapito decine di musicisti – dai Suede agli Smashing Pumpkins passando per Smiths e migliaia di gruppi che hanno ripreso e abbracciato il genere goth, sottocultura che Severin & Co. hanno sempre rigettato, ma che indubbiamente hanno contribuito a plasmare, soprattutto con questo disco.
Cambia infatti anche un altro fattore: se fino a Kaleidoscope il look dei nostri era sì “alternativo” ma comunque in linea con la sciatteria vistosa tipica del primo punk, da qui in poi l’abbigliamento diventerà davvero fondamentale, andando a creare stormi di epigoni che, in total black, cercheranno di emulare anche l’aspetto visivo della band. Siouxsie stessa accentuerà la sua sensualità, fino a quel momento poco esibita se non a mo’ di sfida, e non a caso buona parte delle session fotografiche che hanno riempito muri delle camerette o diari dei fan partono da questo periodo.
La produzione di Nigel Grey non fa altro che accrescere il valore di una serie di brani eccellenti: se qualsiasi gruppo avesse avuto una Arabian Knights nel proprio catalogo si sarebbe gridato al miracolo, ma i Banshees di quegli anni trasformavano in oro qualsiasi cosa toccassero. Difficile dunque scegliere tra una Into the Light (l’accettazione gioiosa della Morte) o una Night shift (ispirata da Peter Sutcliffe, noto come lo Squartatore dello Yorkshire): tutto è perfetto, comprese le B-side dei due singoli estratti dall’album.
Proprio dal retro del 12” di Spellbound è tratta Follow the Sun, vero esempio di psichedelia anti-rock che trasporta metaforicamente Children of the Corn di Stephen King in Medioriente, grazie a una incredibile serie di scale arabeggianti a opera di McGeoch (quanta influenza sui suoni delle chitarre di A Short Term Effect dei Cure) che intrecciano trame strisciando sinuose sopra una ritmica colorata e tribale lasciando spazio a Siouxsie, che si abbandona a un canto evocativo e coinvolgente, sia nella versione in studio che sul palco.
Il tour ‘81 porterà per la prima volta i Banshees in Italia, con date a Genova, Prato (dove, supportati da dei giovanissimi Litfiba, dovettero interrompere il concerto a causa di un temporale battente), due date a Modena (per colmare una cancellazione dell’ultimo minuto a Milano), Gabicce e Torino.