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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Robyn: cronache di un miracolo

Non sempre gli artisti più influenti sono anche i più noti. Così è per il prodigio pop svedese.

Influencer – se mai ce n’è stato uno – ben prima di Instagram, teen idol prima di Britney Spears, stesso produttore degli Ace of Base ma senza lo stesso disimpegno. Lorde ha una sua foto sul pianoforte, i Röyksopp ci hanno fatto un disco e un tour insieme, le punte di diamante del pop mondiale vogliono suonare come lei. Perché? Ve lo spieghiamo qui sotto.

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Autunno 1998.

Il senso del ricominciare genera entusiasmo e fastidio, allo stesso tempo. In macchina, l’autoradio ha in serbo delle novità. È il periodo dell’anno più ricco di uscite. Se non altro, la scocciatura è lenita da fiammanti primizie discografiche. In particolare, c’è una canzone che attacca così:

«DUM - DUM - DUM (Ohbaybebaybe)»

È …Baby One More Time, il singolo d’esordio di una sedicenne americana di nome Britney Spears. È stato partorito da quella che si può tranquillamente definire “la premiata ditta svedese delle hit”: il produttore Max Martin e il DJ Denniz PoP. Loro sono per il pop scandinavo quel che Jimmy Jam & Terry Lewis sono stati per l’R&B americano: la mano che tutto ammanta d’oro. E il loro nome è legato soprattutto al fatturato gigantesco di una band connazionale: gli Abba? No: gli Ace Of Base.

The blonde salad.

I destini della discografia, si sa, sono fatti di treni che passano e porte scorrevoli; se il treno si ferma da te, tu puoi scegliere nel giro di pochi secondi se salire a bordo o lasciarlo ripartire. E la porta scorrevole che oltrepassa Britney Spears è la stessa che Robin Miriam Carlsson – detta Robyn, cantautrice pop di Stoccolma non ancora maggiorenne – ha deciso di non varcare.

Solo un anno prima era lei che la casa discografica Jive Records voleva lanciare negli Stati Uniti, impressionata dal suo successo nel Nord Europa. Ma Robyn aveva detto no. Quelli della Jive non l’avevano presa bene e le avevano giurato che avrebbero comunque trovato la loro Robyn americana. Britney, appunto.

A quel punto, Robyn e Max Martin avevano cominciato a lavorare insieme sul disco di debutto di lei, Robyn Is Here. Il singolo-bomba, un mid-tempo saltellante dal titolo Show Me Love, era entrato dritto nella Top 10 della Billboard Hot 100. Un pezzo che, incredibilmente, ricordava molto … Baby One More Time.

All you need is amore.

Ci sono diverse teorie sul metodo di scrittura di Max: si dice che utilizzi la “matematica melodica”, che implica l’entrata di un ritornello entro i primi 50 secondi e una struttura comprendente non più di tre o quattro elementi. In pratica, la ricetta che sarà tanto amata dalle future piattaforme streaming. Uno standard che, nel frattempo, plasma il successo di una boy band agli esordi: i Backstreet Boys. Ed è proprio con loro che Robyn, per farsi conoscere un po’ di più, dovrebbe andare in tour. Almeno, questo le suggerisce il suo guru.

Ma lei dice di no, one more time.
Comincia così, la carriera internazionale di Robyn: con una staffilata di “NO”.

HIPPIE CALZELUNGHE

Nata a Stoccolma nel 1979 da una famiglia di attori di strada, la Carlsson trascorre gran parte dell’infanzia in tour con la compagnia viaggiante dei genitori, a bordo di uno di quei pittoreschi furgoni hippie della nota casa automobilistica tedesca che oggi sono un elemento d’arredo fricchettone. A bordo, con lei, altri dodici esseri umani (tutti adulti).

Due palle così, e nessuno con cui giocare. La sua primissima canzone, In My Heart, Robin-ancora-con-la-“i” la scrive sull’onda emotiva del divorzio di mamma & papà cui, evidentemente, anni di vita on the road non avevano giovato.

I primi ad accorgersi della sua voce e del suo talento sono i ragazzi di un collettivo svedese, che la vedono esibirsi durante un workshop nella sua scuola. Tra loro c’è qualcuno che la mette in contatto con la RCA Records. È il 1993. Quattordici anni, e già un bel tuffo in una vasca piena di squali.

Verso la fine degli anni ’90, Robyn già capisce come gira il fumo nelle grandi etichette. Soffre il fatto di non avere il totale controllo artistico. La RCA avrebbe tutta l’intenzione di pubblicare il suo secondo album, My Truth del 1999, anche negli Stati Uniti.
Ma c’è un problema: ci sono due canzoni, tra cui il singolo Giving You Back, che parlano di aborto – esperienza che lei ha vissuto in prima persona. La multinazionale le chiede di riscrivere alcuni passaggi di quei brani perché, in America, si sa come va: certi temi scottano più di altri.

Ma lei dice, uhm, no. E allora, dopo mesi di trattative, la RCA rinuncia a pubblicare l’album oltreoceano. Robyn la molla, quindi, per firmare con la Jive. In questo turbinio di cambiamenti, un evento triste rende tutto ancora più difficile: PoP perde la sua battaglia con un male crudele, e se ne va nel 1998.

Non proprio il classico argomento pop.

Ma quand’è che la Robyn di prima diventa la Robyn di adesso? Qual è il momento in cui una ex ragazza prodigio scandinava molto poco allineata, timida, dall’aspetto quasi ordinario, a cui trema la voce durante le interviste, diventa una sorta di idolo silente di milioni di clubber in tutto il mondo, nonché il modello da seguire per numerose popstar contemporanee? Com’è che dietro ogni nuovo album di Robyn c’è la stessa, spasmodica attesa con cui si attende un’eclissi totale di luna? Attesa che, tra l’altro, non sempre corrisponde a cifre di vendita colossali.

Accade forse nel 2005: anno in cui lei fonda un’etichetta personale, la Konichiwa Records, e incontra il proprio alter ego, il produttore Klas Åhlund. Tanto per cambiare, una firma di grido: ha già firmato pezzi vincenti per Madonna e Kylie Minogue, tra le altre.

La prima canzone che Robyn e Åhlund scrivono assieme è Be Mine. O meglio: lui trova il demo del brano nell’archivio di lei, lo reputa fantastico, ma dice che bisognerebbe metterci delle chitarre. Klass arriva dal rock; Robyn NON è rock.

La sola chitarra che godeva di credito alle orecchie di Robyn era quella di Prince, non esattamente un riferimento rock duro e puro. Ed è proprio al genio di Minneapolis cui lei pensa, quando cerca di mettere nero su bianco un ritornello che le gravita in testa da un po’. «Dovrebbe piacere a lui!», si ripete in continuazione. Quel refrain è la parte centrale di Dancing On My Own, un pezzo che la proietterà, una volta per sempre, nel mondo degli eroi silenziosi.

Io ballo da sola.

Dancing On My Own fa parte della a trilogia Body Talk; un progetto ambizioso, poiché prevede la pubblicazione di tre album nell’arco di un solo anno, il 2010. Robyn sigilla lì dentro tutta quella sperimentazione che aveva alienato e gettato nel malcontento la sua casa discografica precedente. Prelibati bocconcini sonori che sintetizzano almeno trent’anni di elettronica, conditi da contributi di teste di serie come Snoop Dogg, Röyksopp e Diplo.

Proprio in quel periodo i Röyksopp stanno componendo il proprio terzo lavoro, Junior. La collaborazione con Robyn per il brano The Girl and the Robot farà di quel pezzo uno dei singoli più fortunati del disco.

Insomma, alla fine il robot non si muove e il risultato è lo stesso di prima: Robyn sta da sola.

OH LORDE, PLEASE DON’T LET ME BE MISUNDERSTOOD

Nonostante tutto, però, Robyn genera ancora confusione. È troppo pop per la critica, troppo melodica per i DJ, troppo “weirdo” per il mainstream. Non fa numeri giganteschi, non è una superstar DJ. Ma per qualche motivo, da questo momento, la produzione di Body Talk diventa il manuale d’istruzione del nuovo pop contemporaneo, specie quello al femminile.

Dopo l’uscita di quel lavoro, su quasi ogni album pop che dio mandi in terra c’è almeno una canzone che attinge da lei. C’è un po’ di Robyn in Taylor Swift e in Ariana Grande. Ma soprattutto c’è un po’ di Robyn in Ella Marija Lani Yelich-O’Connor – in arte Lorde.

Quella di Lorde, per Robyn, è un’ossessione bella e buona. Nel 2015 dichiara che la canzone Dancing On My Own è stata fonte di ispirazione per il suo album di debutto, Pure Heroine.

«Il modo in cui il secondo verso precipita nel bridge, The lights go on, the music dies / I just came to say goodbye, e poi sfocia nel ritornello, è la perfezione assoluta», afferma l’artista neozelandese. Lorde è talmente fissata con Robyn da aver costretto il suo pianista (nonché co-produttore e, forse, ex fidanzato), Jack Antonoff, a cantare una sua canzone al Governor’s Ball. Addirittura, quando si esibiscono al Saturday Night Live nel 2015, lui ha una foto incorniciata di Robyn sul pianoforte.

Nella vita di Robyn, tuttavia, c’è un’altra persona importante; un silente regista che, fin dagli esordi, l’ha capita, protetta, spronata. È il DJ e produttore svedese Christian Falk, il cui nome è legato a un altro pezzo di successo mondiale: 7 Seconds di Neneh Cherry. Con Falk, Robyn fonda un progetto di nome La Bagatelle Magique. Assieme a lui, torna di nuovo in classifica nel Regno Unito con il singolo Dream On, “riempipista” al tempio londinese Ministry of Sound.

No, non è una cover degli Aerosmith

Quando Falk muore nel 2010, anche lui strappato alla vita da un male impietoso, Robyn va in psicanalisi – e ci resterà per sei anni. Tanto ci vorrà per fare i conti con le perdite e per smontare la “cyborg persona” che i fan vedono in lei. È arrivato il momento di fare pace con alcuni momenti del passato. Specie con quel senso di paranoia associato al successo trovato in giovane età, che la spinge a essere sempre sospettosa degli altri e che sabota le sue relazioni.

Soprattutto, passeranno otto anni prima che Robyn pubblichi un nuovo album.

LA DURA LEGGE DEL POP

Agosto 2018.

C’è un party al Pikes di Ibiza, nella villa labirintica in cui fu girato il video di Club Tropicana degli Wham. Improvvisamente e senza essere annunciata, Robyn fa il suo ingresso in scena e canta Missing U, primo singolo dopo taaanto tempo, nello stupore generale.

È quello che anticipa il nuovo disco, Honey.

Anche tu ci mancavi, cara.

Il produttore dei primi tempi, Max Martin, nel frattempo è diventato l’architetto del pop del ventunesimo secolo. Solo John Lennon e Paul McCartney hanno avuto più hit di lui. Dal 2008 al 2017 ha messo a segno ventidue “numeri uno” nella Billboard 100.
Per citarne solo alcuni: Katy Perry, I Kissed a Girl, California Gurls, Teenage Dream; P!nk, Raise Your Glass; Taylor Swift, We Are Never Ever Getting Back Together; Justin Timberlake, Can’t Stop the Feeling.

Una cosa è certa: non c’è artista donna che entri nel suo studio senza piazzare un disco di Robyn sul tavolo, dicendo sempre la stessa cosa.

«Voglio fare QUESTO!»

Robyn Royksopp Röyksopp 

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