Le stelle sono tante, milioni di milioni. Le birre qualcuna in più.
Posto che per volerla ascoltare una ventina di volte di seguito basterebbero l’irresistibile riddle di banjo e tin whistle con cui questo pezzo si apre e l’anthem epocale, da intonare – o stonare – rigorosamente ubriachi, Streams of Whiskey (una dichiarazione di intenti, più che il titolo di una canzone) praticamente sintetizza lo Shane-pensiero in tre minuti, e in maniera brillante.
Chi è stato in un pub irlandese almeno una volta sa benissimo che c’è sempre un momento in cui qualcuno attacca con Wild Rover, scritta secoli fa come temperance song, invito alla moderazione, e rimasta poi come ovvio e convincente incitamento a bere sempre un po’ di più. Ecco, quest’altra ne è l’evoluzione.
Shane MacGowan incontra in sogno il poeta e commediografo – irlandese, manco a dirlo: su quell’isola si incontrano solo tra di loro, anche a distanza di decenni – Brendan Behan. Parte un classico dibattito da bancone, roba di alta filosofia e di strategie di sopravvivvenza alla vita. E il letterato, dopo un po’ di esperienze turbolente, «had but these few clear and simple words to say»: piuttosto che stare a interrogarsi inutilmente, meglio andare direttamente – portati dalla direzione del vento – dove scorrono fiumi di whisky. Perché niente di buono può venire dalle lacrime, e se proprio bisogna bagnarsi, probabilmente è meglio tuffarsi dentro una pinta. O quindici: «When the world is too dark and I need a light inside of me / I’ll walk into a bar and drink fifteen pints of beer».
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Si potrebbe anche obiettare che non è una filosofia particolarmente elaborata, ma non è forse nelle cose semplici che spesso si trova la soluzione ai problemi della vita? E poi, insomma, chi ne avesse una migliore, la dica. Invece di provare a trovarla, è evidentemente più soddisfacente seguire le orme di chi, messo da parte un gruzzolo, se ne va in un bar di Chelsea con un intento abbastanza dichiarato: «I’ll walk in on my feet / But I’ll leave there on my back!».