Romanticismo alcolico di purissima razza irlandese.
Il dilemma ricorrente, di fronte alle canzoni più apertamente romantiche dei Pogues, è se siano effettivamente rivolte a una donna o piuttosto a un booze, cioè uno spirito (nel senso di bevanda parecchio alcolica). È il caso di una delle più celebrate e strappabudella, ambientata in una notte piovosa a Londra – cioè una qualsiasi – e nel quartiere di Mr. Hyde, dei teatri e dei club, nonché quello che di solito viene nominato nei vecchi noir quando viene uccisa una prostituta.
Tre accordi fissi e l’andamento annoiatamente malinconico, su cui spiccano i temi del tin whistle e dell’orchestra, fanno da contraltare a una serie di visioni ricche, gonfie come spugne di vita vissuta. In realtà, l’unico modo per scriverne sarebbe copiare tutto il testo parola per parola. L’amarezza, l’abbandono, il dividersi delle strade, il lasciarsi andare al flusso della vita che a volte somiglia a una tempesta e altre sembra pura bonaccia, la poesia cruda delle azioni, dei gesti e delle pure immagini: è tutto reso e imprigionato nei versi talmente bene che viene da piangere.
E poi quella chiusura meravigliosa, pronta e impacchettata per entrarti nel cuore: «Now this song is nearly over / We may never find out what it means / Still there’s a light I hold before me / You’re the measure of my dreams / The measure of my dreams».
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Un poeta inglese dell’Ottocento la definirebbe pure bliss, o userebbe qualche altra espressione del genere. Shane MacGowan, a sentirlo, ci si farebbe su una birra (e poi un’altra, in trenta secondi netti).