Dedicare ninnenanne all’amante mentre si pensa alla fidanzata lontana.
Vista la centralità dei Pogues nell’invenzione del folk punk di marcata ispirazione Irish, è facile scordarsi che il loro carismatico uomo-immagine (di devastazione) è nato a Londra, pur se da immigrati irlandesi e con un’infanzia passata nella County Tipperary. Ed è grazie a Londra che ha conosciuto il punk, Sid Vicious e Joe Strummer – gente che lo ha cambiato profondamente. È a Londra che deve molto, e non ha mancato di restituirle qualcosa cantandola a modo suo.
Questo non toglie che nella capitale britannica ci siano pure i segni profondi della storia della Corona, con tutte le sue efferatezze a volte sconvolgenti, con il suo odioso senso di superiorità colonialista, culturale e genetica, che ha generato danni permanenti nell’arco di secoli a popoli sparsi in tutto il mondo, e chiaramente anche ai vicini dell’isola meravigliosa e turbolenta a cui Shane sente di appartenere, e di fatto appartiene.
Due anime che trovano il loro incontro alchemico in questa splendida ninnananna, in cui risuonano echi della tradizione, come «As I walked down by the riverside one evening in the spring / Heard a long gone song from days gone by blown in on the great North wind» – cosa c’è di più folk di un inizio del genere?
In luogo di un bucolico canto di quaglie, ci sono rumori di macchine, urla, risate, schiamazzi di rissa: il mondo di Shane. Dall’altra parte, il vento del Nord, gli spiriti inquieti dei morti, le acque del Tamigi, le voci del passato rimandano alle storie vecchie di secoli che popolano i suoi sogni e i suoi incubi. Che tutto questo – chiede Shane a nessun dio in particolare – non ti porti dolore, ma ti culli in un sonno luminoso e pacificato.
Che è poi, alla fine, lo scopo delle ninnenanne, anche quelle scritte dai poeti del Novecento.