Cadere dalla perdizione nella perdizione, con eleganza.
«Se perdessi la grazia di Dio, finendo dove nessun dottore può guarirmi, se fossi sepolto sotto terra ma gli angeli non mi accogliessero, lasciatemi andare, lasciatemi andare con il fango nei fiumi asciutti». Fulminea ma criptica, If I Should Fall from Grace with God apre l’album omonimo, uno dei più amati, ancora una volta con un riddle di banjo e flauto che ti travolge come una tempesta, e che ritorna come un fantasma alternandosi agli stacchi altrettanto haunting, aggettivo semi-intraducibile che si addice alla musica di queste anime in pena.
Scavando nell’apparente noncuranza punk per la fine che farà il proprio corpo dopo la morte (fra l’altro, dalle parti di Modena abbiamo una specie di nostro equivalente, che a me – al di là dell’ovvia ispirazione all’opera di Shane in genere – l’ha sempre ricordata tantissimo in particolare), si trova un messaggio dinamitardo, denso di spirito ribelle e indipendentista: «This land was always ours / Was the proud land of our fathers / It belongs to us and them / Not to any of the others», ed ecco che il menefreghismo diventa più che altro questo. Se cambiamo il filtro, quella che “should fall from Grace with God” potrebbe essere l’Irlanda cattolica piegata ai colonialisti britannici, e i “murdered ghost(s)” da cui Shane non vuole essere haunted quelli degli emigranti irlandesi morti in mare con la speranza di un destino migliore.
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L’unica cosa che resta da fare, scongiurati i timori di perdere la benevolenza divina, è un viaggio lampo attraverso lo specchio. In compagnia di questo vecchio pirata.