Fratelli a vent’anni.
Inizio anni Novanta: Daniel Dumile è un giovane rapper nato a Londra ma cresciuto a New York. Microfono in mano si fa chiamare Zev Love X e, con suo fratello minore DJ Subroc, fonda un gruppo hip hop, i KMD. Il loro primo disco Mr. Hood del 1991 è un bell’esordio di HH fortemente politicizzato, diciamo in area Brand Nubian (che infatti compaiono nell’album). Il disco ha un discreto successo, la loro carriera sembra lanciata e tutto è pronto per un secondo album intitolato Black Bastards.
Da qui in poi tutto va male: la loro casa discografica (Elektra Records) decide di non far uscire il disco a causa di una copertina oscenamente provocatoria (un samba pesto e impiccato alla forca), e nel 1993 DJ Subroc muore improvvisamente investito da un pirata della strada. Il dolore per la morte del fratello e la frustrazione verso il mercato discografico gettano Dumile nello sconforto: così il rapper scompare dalla scena per diversi anni, vivendo per strada e dormendo sulle panchine di Manhattan, crogiolandosi nella depressione e nell’odio verso le major.
Diversi anni dopo, un misterioso tizio mascherato fa la sua comparsa nella scena rap di New York: si fa chiamare MF DOOM e indossa una maschera di ferro identica a quella di Massimo del Gladiatore. Non esistono sue foto a volto scoperto e la sua vendetta nei confronti del music business comincia a suon di battles e di dischi pubblicati rigorosamente solo con etichette indipendenti. È Dumile, che con questa nuova identità da super-villain ha trovato il modo di incanalare la sua rabbia e dare così inizio a una carriera incredibilmente prolifica, affollata di pseudonimi e side-projects, collaborazioni e alter ego. In breve Doom diventa una leggenda dell’hip hop, tra i produttori e i rapper più talentuosi e stimati di sempre, senza mai scendere a compromessi con quel sistema che l’aveva scaricato.
Nel 2001 Black Bastards vede finalmente la luce, pubblicato da Sub Verse Records. Il disco è in realtà molto meno politico di quanto la sua incriminata copertina poteva lasciar presagire. È piuttosto la messa in rima delle inquietudini di due fratelli di vent’anni alle prese con le prime esperienze adulte tra droga, sesso e piccola criminalità. What a Nigga Know? Sarebbe dovuto essere il singolo di punta di questo piccolo capolavoro sommerso: drumming boom-bap ruvido e potente, qualche nota di synth vagamente spettrale e un flow serratissimo.
Come tanti lo hanno definito: «il miglior disco hip hop che non avete mai sentito».