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Iron Maiden: Judas Be My Guide
Chiodi di pelle ne abbiamo?

Melodie perfette per tradimenti presunti.

Fear of the Dark è un album che molto spesso passa in sordina quando si parla di pezzi storici dei Maiden. Eppure ha al suo interno perle impeccabili.

A parte l’ipercelebrata title-track, ricordiamo la mirabile Wasting Love (forse la più grande ballad mai scritta dalla band) e Afraid to Shoot Strangers (stesso discorso), accanto ad altri brani più diretti come Be Quick or Be Dead o Childhood’s End (una delle melodie più riuscite del disco).

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Troppo spesso dimenticato soprattutto questo inno all’amico Iscariota, vinto dalla brama dei trenta denari (ancora stentiamo a credere come non si dica “Judas my guy…”). Un pezzo Iron Maiden 100% per le scuole a venire: liriche sulla mercificazione completa della società, prostrata al vil danaro, con un giro di basso e batteria ipercanonico ma che suonato da Harris-McBrain potrebbe supportare qualunque cosa e renderla convincente. Così come il riff di classica scuola Murray e il magistrale assolo ben più che scolastico a opera di Gers, teso e incisivo (prima che si diventasse prolissi, per intenderci).

In cima a tutto un’interpretazione maiuscola di Dickinson, che in questo disco – quando davvero si impegna – regala momenti d’oro, insieme a una delle linee vocali più riuscite del periodo degli anni Novanta. Il ritornello, poi, è da antologia vera e propria del classic rock: una roba che da sola avrebbe fatto la carriera di qualsiasi altra band.

Invece Judas Be My Guide non è nemmeno mai stata suonata dal vivo, pur avendo tutte le carte per finire in ogni setlist che si rispetti. Se si pensa inoltre che, per molti, Bruce tradì i Maiden lasciando la band, riascoltare oggi questo brano rende la storia ancora più aperta a leggende e interpretazioni.

Iron Maiden 

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