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Iron Maiden: Innocent Exile
E anche oggi dal barbiere ci andiamo domani

Esiliati (ma innocenti) nella Rue Morgue.

Nessun dubbio – Killers non si tocca. E resta indubbiamente una delle vette storiche della formazione inglese. Ma altrettanto certo è che non si può dimenticare – e non solo per le celebrazioni quarantennali della band – l’immenso valore dettato dietro le pelli dal purtroppo prematuramente scomparso Clive Burr così come se niente fosse.

La forma smagliante, poi, del comparto chitarristico arriva qui a toccare gli apici della NWOBHM, senza se e senza ma. Ogni fan che si rispetti conosce a memoria il disco, anche se Innocent Exile è stata forse troppo spesso dimenticata nei riassunti e nei best of vari. Un vero peccato, perché è il pezzo perfetto per ricordarci cosa fosse il vibe degli Iron Maiden di allora, e questa è una cosa da tenere bene a mente.

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Nella versione rimasterizzata (l’ultima, quella del 2015) si rischia di perdere quello che fu ai tempi l’impatto di un sound del genere, ma si riesce comunque ad apprezzarne appieno il contenuto, ancora legato a un certo tipo di punk inglese (in ogni caso innovativo per l’epoca), eppure capace di trascendere il suo tempo e arrivare tranquillamente fin qui. Sapere inoltre che è il seguito (quasi necessario) di Murders in the Rue Morgue la rende a pieno titolo un must assoluto, soprattutto per gli ascoltatori più legati alla passione della band per i grandi riferimenti letterari.

Nessuna nega che canzoni come Killers e Another Life restano più emblematiche e “durature”, ma Innocent Exile rende davvero giustizia all’importanza storica della Vergine di Ferro. E anche un tocco di filologia da archivista non guasta, in questa sede: basti pensare che l’ultima versione dal vivo di questo pezzo, a nome Iron Maiden, risale al 1981.

Iron Maiden 

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