Se vivessimo per altri cento anni, amici, niente lacrime.
Un brano che riassume tutto il concetto della celebrazione di un tesoro sepolto. Da fan e per i fan. Senza aver paura di ricorrere a certi termini fondamentali per la disamina.
Primo. Il periodo peggiore. L’album peggiore, probabilmente. O uno dei presunti tali. E – povero lui – anche l’ultimo cantante dei Maiden che in genere si ricorda per importanza (giudizio sicuramente immeritato), il caro e vecchio Blaze Bayley: scelta che all’epoca risultò stravagante proprio per il contrasto estremo tra le tonalità del moro e quelle del biondo. Il perfetto punto di partenza, dunque, per cercare dell’oro.
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Secondo. Un pezzo che non presenta musicalmente nulla di stravagante – non è un singolo, non è stato mai fatto dal vivo (nemmeno nello stesso tour di Virtual XI) – ed è facilmente finito nei dimenticatoio. Un brano, però, che mostra un certo cuore e una bellezza intrinseca, grazie all’umiltà e alla semplicità che sgorga da liriche intense come quelle del refrain, scritte da Blaze su un taccuino poco prima di una data in Sud America. «If we live for a hundred years / Amigos, no more tears».
La linea vocale è perfettamente coerente col suo timbro, senza tentare di emulare Bruce come – a volte – nel, comunque buono, The X Factor aveva provato a fare (era ancora troppo fresco il cambiamento), lasciando a Steve Harris il compito di congegnare perfettamente il tutto. Senza fronzoli, diretto e capace di rimanere nel cuore di tutti coloro che non si erano rabbuiati dopo l’abbandono di Dickinson.