Che avesse avuto “un’influenza senza rivali” lo diceva il Guardian in un articolo uscito a novembre scorso, mesi prima della sua scomparsa. Puntando lo sguardo sulla dimensione di cantante, e di icona pop, prima che di fenomeno televisivo. Come a dire: voi non lo sapete, ma Raffella Carrà è stata prima di tutto un fenomeno musicale.
A partire dagli anni ‘50, la Carrà è stata una triplice delizia: sapeva cantare, ballare e recitare ugualmente bene, e ha avuto un’influenza senza rivali nella musica e nella cultura pop italiana. (The Guardian, 20 novembre 2020)
«Icona mondiale prima di Madonna», «icona gay», «icona di libertà», «icona transfemminista», «icona di musica e tv», «una straordinaria icona pop e una bomba sexy. Oltre che la cantante di alcune canzoni che hanno cambiato la Storia di questo Paese». Sono solo alcuni dei titoli e delle parole che si leggono sui giornali in seguito alla scomparsa di Raffaella Maria Roberta Pelloni, la popolarissima Raffaella Carrà.
E della sua enorme popolarità abbiamo avuto prova tangibile proprio in questi giorni: a parte qualche raro storcimento di naso, “Raffa” ha messo d’accordo tutti. Si è detto tanto della sua immagine insieme erotica e rassicurante, di come in lei si risolvesse la dicotomia puttana-sposa, di come facesse presa sui mariti e fosse “amica” anche delle mogli.
Ma la musica? Perché qui è di questo che si parla abitualmente. Quando, da soubrette televisiva, la Carrà è diventata “regina del pop”, anticipatrice di Madonna? E perché noi italiani sembriamo essercene accorti per ultimi?
Raffaella Carrà, comunque la si guardi, è innanzitutto un prodotto dello schermo. I suoi primi passi non li muove come Mina sui palchi di provincia o come Patty Pravo al Piper. Comincia come attrice bambina al cinema per poi sbarcare in televisione in qualità di valletta. E tra palco e tv, in quanto a capacità di catturare e influenzare le masse, non c’è mai stata gara: quest’ultima ha sempre avuto il potere di creare immagini indelebili e dar vita a personaggi “iconici”, appunto. Proprio la tv renderà immortali il suo caschetto biondo, le sue mosse e la sua inconfondibile risata.
La sua musica inizialmente non sembra fatta per vivere di vita propria, accompagna siparietti e sigle televisive: Ma che musica maestro, Chissà se va (disco d’oro), Maga maghella…
Boncompagni se ne serve anche per lanciare nuove danze che dalla tv arrivino a riempire le piste da ballo del Bel paese. Reggae Rrrrr! (1970), che di reggae ha soltanto il titolo, è lo specchio del (tele)provincialismo: dimostra come in Italia di musica giamaicana non si sapesse ancora nulla. “Si cala di peso col reggae, si cresce di un metro col reggae, ti senti più bella col reggae”, canta la Carrà a Canzonissima, insegnando a tutta Italia quel ballo “fasullo”.
In quanto a danze, va decisamente meglio l’anno successivo col Tuca Tuca, come ha raccontato Enzo Paolo Turchi: «Nacque per gioco ed è diventato un successo planetario. Eravamo a casa di Raffaella, l’idea venne a Gianni Boncompagni e doveva essere il balletto di una sola puntata. C’era anche Gino Landi quella sera, lo preparammo senza immaginare che sarebbe entrato nel Guinness dei primati».
Per evitare censure, la carica erotica di quel ballo piuttosto provocante per l’epoca viene smorzata dalla presenza di un partner particolare: la Carrà lo balla in coppia con Alberto Sordi e quella danza ammiccante vira immediatamente su toni più comici, assicurandosi il lasciapassare della Tv perbenista..
«Non sono una cantante vera», diceva lei, «non ho una gran voce, non ho mai pensato di intraprendere quella carriera». Eppure c’è un momento in cui Raffaella invece sembra crederci: la sua musica in qualche modo si emancipa dalla Tv, rendendosi più autonoma e passando attraverso altri autori. Con Felicità tà tà (1974), a Boncompagni, che aveva scritto praticamente tutti i testi dei lavori precedenti, si uniscono, tra gli altri, Shel Shapiro, Carla Vistarini (La nevicata del ‘56 per Mia Martini) e Dino Verde (Piove - Ciao ciao bambina). Sono cambiati i toni, in particolare spicca il sound di Quando dico di no, di Tabù e della celeberrima Rumore. Le canzoni non sono più dei semplici accompagnamenti e il pubblico sembra apprezzare questa svolta (oltre 12 milioni di copie vendute).
Anche il disco successivo Forte forte forte (1976), arrangiato (in parte anche composto) da Franco Bracardi, prosegue in quella direzione. È l’album di A far l’amore comincia tu, il suo singolo più venduto, ma anche di alcune interpretazioni piuttosto raffinate: il picco di E mia madre - musica di Tony Cicco (Formula 3) e testo della Vistarini - ma anche la canzone che dà il titolo all’album, scritta per lei da Cristiano Malgioglio. Anche il modo in cui usa la voce è diverso: meno caricato e senza dubbio più curato.
Sono anni particolari, in cui Raffaella lascia la televisione per trascorre le sue estati in tour e portare finalmente le sue canzoni su un palcoscenico. Non si tratta certamente di un salto nel vuoto, lei ci sale col vantaggio di averle fatte prima ascoltare quotidianamente a tutta Italia. Va sul sicuro, insomma.
Resta il fatto che si tratta di una parentesi che non sembra cambiare la percezione del suo personaggio, almeno qui da noi. La Carrà nel Bel paese continua a essere sinonimo di varietà e di “fiesta”. «All’estero, non essendo presentatrice, mi consideravano più una cantante», ha dichiarato lei. Ne è la prova l’articolo del Guardian sopra citato, che dice anche: «L’Italia ha avuto cantanti molto più abili con la voce, che combinavano l’estensione e la vena drammatica: Mina, un mezzosoprano dal talento virtuosistico; Milva, nota come “la rossa” per le sue simpatie politiche e la folta criniera, celebrata per le sue interpretazioni di Bertolt Brecht e Kurt Weill; Patty Pravo, un contralto androgino; Giuni Russo, che sublimava la tecnica operistica nella musica pop e aveva un’estensione di cinque ottave. Carrà le ha superate tutte».
Nel 1978 sente di nuovo il richiamo dello schermo e torna in televisione a condurre Ma che sera. L’interprete di Felicità tà tà e Forte forte forte è ormai un vago ricordo: i dischi successivi e brani come Tanti auguri, Com’è bello far l’amore da Trieste in giù (diventata poi un grande successo anche sul mercato latino) e Ballo ballo sono le prove di un desiderio di tornare alle origini.
Non a caso, in questi giorni, i nostri giornali, parlando di Raffaella, più che sul suo ruolo di cantante e interprete, si sono concentrati principalmente sulla rivoluzione sessuale che ha messo in atto, liberando le donne dagli stereotipi maschili e su quella televisione italiana vivace e coloratissima di cui, in qualche maniera, è stata madrina.
«Raffaella Carrà è storia della moda», ha detto Vittorio Sgarbi, «storia di un’estetica nuova, che potrebbe essere, nella dimensione planetaria, quello che è stato David Bowie». Bowie però ha fatto del trasformismo la sua cifra stilistica e musicale, mentre la forza di Raffaella risiede nella sua capacità di inserirsi in una sorta di atemporalità, restando sempre uguale a se stessa e immediatamente riconoscibile, a cominciare dal suo caschetto biondo.
«Come Madonna, prima di lei», si è letto, «ha insegnato alle donne le gioie del sesso», con la differenza che su Miss Ciccone è sempre calata la mannaia della censura. Raffaella invece, pur in un’epoca di Rai perbenista, è riuscita a farla franca, mettendo in mostra ombelico e schiena con una risata. Le sue esibizioni non hanno mai subito tagli, al contrario di quelle di altre colleghe (i fianchi di Abbe Lane, le gambe delle Kessler), la sua era una sensualità misurata, una trasgressione sempre concessa.
Come aveva sottolineato Il semiologo Omar Calabrese, incarnava «un’antologia dei sottogeneri di showgirl e anchorwoman, di manuale dei tipi tradizionali. E forse proprio in questo risiede la capacità di attrazione verso tutti i generi di pubblico».
Riusciva persino a cantare «So quel che sempre piacerà al gran pubblico maschile (che cosa?). So quel che sempre mi darà l’accoglienza calorosa (che cosa?). È un movimento che s’avvita dal centro della vita (dicci che cos’è?). È questo ruotare, girare, di lato, di sopra, di sotto, doppiare di botto» senza farsi odiare dalle casalinghe.
Una selezione dei dischi di Raffaella Carrà. E non sono nemmeno tutti!