Zombie dei Cranberries è una canzone seria.
È un manifesto.
È stata scritta da Dolores O’Riordan all’alba di un evento tragico: i bombardamenti da parte dell’IRA a Warrington, Inghilterra, il 20 Marzo 1993, in cui due bambini persero la vita. Gli “zombi” sono loro, incubi ricorrenti nella testa di chi li portò via.
È un vero peccato.
Parte del videoclip fu girata a Belfast, pochi giorni prima del cessate-il-fuoco, dopo venticinque anni di conflitto. Ci sono soldati veri, bambini veri, strade di Belfast vere. È diretto da Samuel Bayer (già regista di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana) che rischiò pure la pelle, nell’occasione.
È un vero peccato.
No, dico, è un vero peccato che questo pezzo abbia così prepotentemente, inesorabilmente, inequivocabilmente trapanato gli zebedei. E non da oggi: da allora. Dal 1994. Ci vorrebbe una regolamentazione dell’airplay radiofonico e televisivo che impedisca a brani così, nati con ottimi propositi, per giunta ben costruiti, di raggiungere un tale grado di saturazione.
Perché è veramente ingiusto che, fin dal suo incipit, la reazione più prossima che provoca questa canzone sia l’immediato ribaltamento della regione occipitale. Non esiste che la voce spezzettata e singhiozzante di O’Riordan – anziché essere interpretata per quel che è, cioè un mezzo di autentico lamento – faccia venir voglia di dar craniate al muro portante del pub, per poi barricarcisi dentro, come antidoto alla noia.
«Non sapevo che questa canzone sarebbe diventata un successo», dichiarò lei stessa, allora, preso atto della risonanza planetaria di Zombie. Dolores, cara: neanche noi.