Già. Perché tutti, comunemente, abbiamo sempre inteso il rock’n’roll come il mito della coolness, dei figaccioni rockettari figli di Elvis, di Axl Rose, dei capelloni con la camicia a quadri di Seattle o freschi di una cotonatura losangeliana tipica della Sunset Strip, dei surfer coi pettorali scolpiti nel marmo, dei bei fiulett tutti pane e maledettismo, delle bellissime e provocanti star dai seni e dalle sgambate prorompenti e di un sacco di altre amenità appaganti l’occhio, oltre che l’orecchio.
E invece c’è – tra le righe di queste grandi pettinature di cui il rock stesso mai ha smesso di farsi emblema – tutto un filone che nasce proprio da un’estetica alternativa. Casuale, contingente o forse programmatica – sicuramente l’esatto opposto di tutto quel fascinoso comparto da poster. Elvis non leggeva certo Tolkien. E in fase di registrazione di Appetite for Destruction i gemiti di piacere che si sentono non sono quelli di un qualche hobbit. O di un ewok. E nemmeno di uno zombie. A Courtney Love non è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare il filo a Geddy Lee. E Juliette Lewis dubitiamo fortemente si mangiasse snack pensando a come decifrare le missive in klingon che le arrivavano dai fan arrapati.
Alcuni lo hanno definito nerd rock o dork rock. Altri, più analiticamente, geek rock. Il rock da sfigati, insomma. Ecco a voi una manciata di tracce – accuratamente selezionate – da ascoltare per non essere cool alle feste del liceo. O magari una playlist da mettere su per rovinare l’atmosfera tamarra qualora qualcuno vi abbia fatto – oltre che entrare – perfino avvicinare alla consolle del DJ, mentre lui si stava attardando al bancone del bar.