Una rosa non è un robot. Nemmeno a decadi di distanza.
In termini di veri reminder per band ingiustamente sconosciute, non si può esulare da una delle formazioni Dischord più emblematiche. Gli Shudder to Think sono infatti una delle gemme dell’etichetta di Washington, capace di contribuire – prima di passare alla più grande Epic – in maniera autentica al cambiamento dell’hardcore che stava avvenendo all’interno di quei recinti discografici.
I primi dischi della formazione rientrano infatti a pieno titolo tra i capolavori del cosiddetto post-hardcore di fine anni Ottanta (anche inizi Novanta, diciamo). Ten Spot, in particolare, rimane un po’ il diamente grezzo di iniziazione, quello che comincia la nuova decade e sottolinea le coordinate già delineate con Curses, Spells, Voodoo, Mooses, uscito l’anno prima per la Sammich Records.
«Rag, your face is like my uncle my uncle is a jungle a jungle is a tangle a tangle makes you strangle». Sountuoso il giro di Rag, in cui ben si capisce perché gente come Smashing Pumpkins e colleghi 90s (Deftones, Incubus e molti altri) abbiano sempre sostenuto l’importanza specifica degli Shudder to Think e del loro carismatico leader Craig Wedren.
La mistura di pop, base hardcore che non rifiutava il “famolo strano” e un livello di songwriting consapevole di avere davvero qualcosa da dire, in termini compositivi hanno fatto della band un piccolo gioiello storico e un caso unico da annoverare tra le cose di cui continuare a parlare a lungo. Sicuramente da non dimenticare, così come l’immortale chorus «Rag, a rose is not a robot». Una rosa non è certo, infatti, riproducibile all’infinito.