La primavera emozionale del punk stravinskiano.
I Rites of Spring sono uno esempio perfetto per capire cosa significa band di culto. Membri che avranno una fortuna successiva e parallela, riferimenti profondi ad altri capolavori artistici (in questo caso stravinskiani), breve durata, pochi e memorabili concerti, canzoni che valgono come inni e la fortuna di essere stati fautori di un rinnovamento musicale. Qui c’è esattamente tutto. Ah, dimenticavamo: naturalmente non ne parla mai nessuno.
Capitanati dal grande Guy Picciotto (vero e proprio nomen omen per “l’uomo qualunque del punk”) e prodotti da Ian MacKaye (prima del sodalizio dei due nei Fugazi), autori di un album omonimo e di un successivo EP, i Rites of Spring sono comunemente definiti i pionieri di quello che veniva chiamato emotional hardcore, poi beceramente avvilito nelle manifestazioni del termine emo più tarde, dalle quali lo stesso Picciotto prenderà le distanze.
«I woke up this morning / With a piece of past caught in my throat / And then i choked», così comincia For Want of, terzo pezzo del disco del 1985. La riflessione sul presente deve naturalmente passare per una critica del passato, non solo sociale ma anche espressivo. I Rites of Spring, infatti, insieme ai Minor Threat si fanno carico – nella medesima scuderia – di superare le lezioni dell’hardcore californiano spingendosi verso altri lidi, fondati sui medesimi crismi ma affidati a un’autentica e originale “variazione sul tema”.
For Want of è un pezzo storico, emblematico, capace di entusiasmare per la sua miscela convincente di hardcore poetico intriso di una diversa ribellione, che senza rifiutare certe melodie (e un riff memorabile quasi figlio della coeva della New Wave of British Heavy Metal) riesce a fare in modo che le grida del suo portavoce si sposino con il suono di qualcosa che non va, nel mondo esterno e dentro di sé.
A nostro parere, Stravinskij, in qualche modo, una toppa dei Rites of Spring sul chiodo l’avrebbe anche portata.