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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Mike “American musician, rapper, singer, songwriter, record producer, and graphic designer” Shinoda. Stando alla definizione di Wikipedia.

Cosa fa Mike Shinoda su Twitch

Come nasce una hit, o qualcosa che potrebbe esserlo.

Spoiler: fa vedere come nascono le canzoni dei Linkin Park, anche se Chester Bennington è morto e nemmeno i Linkin Park si sentono troppo bene.

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Mike Shinoda si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio del 1995 in cui il moroso di sua sorella l’aveva condotto a un concerto di Anthrax e Public Enemy e lui aveva deciso che nella vita voleva fare quella roba lì. Che roba, Mike? Il metal degli Anthrax o il rap dei Public Enemy? Tutti e due.

Anche se, sotto sotto, il mio gruppo preferito sarebbero i Bon Jovi

Mike Shinoda (1977) è un grafico pubblicitario mezzo californiano mezzo giapponese che suona un po’ tutti gli strumenti e canta malino e rappa un po’ meglio, ma sa come si scrive una canzone che non ti si schioda più dal cervello. Soprattutto, è una scheggia su Pro Tools con la mania per i dettagli: la sua specialità sono i muri di chitarre elettriche, i beat hip hop distorti, gli effetti da videogioco e le melodie tipo suoneria del Nokia 3310. Forse hai sentito parlare del gruppo con cui suonava ai tempi dell’Università: si chiamano Linkin Park e hanno venduto 100 milioni di dischi.

Hybrid Theory (2000), il disco d’esordio dei Linkin Park, quando andavo al liceo era obbligatorio con il programma dell’ultimo anno insieme all’Esistenzialismo e alle disequazioni di secondo grado. Di Hybrid Theory si dice di solito che è il disco che ha portato il nu metal alle masse.

Te lo ricordi il nu metal? Le chitarre accordate basse, i pantaloni dell’Adidas, il basso sotto le ginocchia, un deejay che scratcha male, le unghie dipinte, i batteristi incredibili, un cantante che rappa e l’altro che urla e tutti e due che hanno preso un sacco di botte dai capitani della squadra di football della scuola. A cavallo tra i Novanta e i Duemila distinguere i gruppi nu metal buoni da quelli scarsi era uno dei nostri passatempi preferiti, e i Linkin Park finivano sempre nella lista degli scarsi: non erano abbastanza Korn, né abbastanza Rage Against the Machine, e decisamente non erano per niente Slipknot. A 19 anni la gente con cui giravo aveva deciso che i Linkin Park facevano musica tipo Smemoranda e noi eravamo troppo impegnati a tirarci giù con la chitarra i riff dei Deftones per stargli dietro.

Come gli Articolo 31 quando tutti ascoltavano gli Articolo 31, i Linkin Park avevano un po’ lo stigma dei venduti. Te li ricordi i venduti? Ti ricordi quando il concetto di fare i soldi con la musica era considerato una vergogna? I Linkin Park sono arrivati alla festa del music business giusto in tempo per l’ultimo giro di consumazioni, ma hanno bevuto come dei vichinghi: nonostante l’abbiamo scaricato e masterizzato tutti quanti (erano gli anni d’oro di Napster, eMule e compagnia bella), Hybrid Theory l’abbiamo pure comprato parecchio al centro commerciale il sabato pomeriggio con i pantaloni rotti sulle ginocchia, e 20 milioni di copie fisiche in tutto il mondo sono cifre che semplicemente non si ripeteranno mai più nella storia dell’industria musicale.

Quando fai il botto con il primo disco e il secondo lo chiami Meteora, stai facendo dire al tuo subconscio che sai bene che la festa potrebbe finire in qualsiasi momento. In effetti, né Meteora né gli altri 5 dischi che sono venuti dopo hanno avuto lo stesso impatto di Hybrid Theory, ma la festa è continuata: i Linkin Park hanno continuato tranquillissimi a fare i loro tour mondiali (te li ricordi i tour mondiali?) e a stare in cima ai cartelloni dei festival (te li ricordi i festival?) e a dedicarsi a tutte quelle attività a cui si dedica un gruppo per far parlare di sè, tipo drogarsi, avere molti tatuaggi o collaborare con Jay-Z. Uno stadio pieno di (ex) adolescenti problematici che cantano In the End l’avrebbero trovato da qui all’eternità, sarebbero potuti andare avanti tutta la vita come dei Foo Fighters qualsiasi, se nel 2017 Chester Bennington non avesse deciso di farla finita.

È difficile scrivere di Mike Shinoda e dei Linkin Park senza nominare Chester Bennington, ma il povero Mike non deve rimanerci bene a vedere qualsiasi articolo che parla del suo gruppo iniziare dalla fine, dal 20 luglio 2017, il giorno in cui la donna delle pulizie ha trovato Chester impiccato in camera da letto, senza uno straccio di biglietto d’addio.

Come si fa a fare la pace con il fatto che il tuo migliore amico non c’è più? Si esce mai da una cosa così? Può servire fare un disco e chiamarlo Post Traumatic (2018) e mettere nella prima traccia i messaggi vocali dei tuoi amici che ti chiedono: “Come va, Mike? Volevo solo mandarti un abbraccio, per qualsiasi cosa sai dove trovarmi, tieni duro”? Io non lo so, ma gli auguro proprio di sì. Quello che so è che la voglia di fare musica non gli è passata per niente. Anzi.

Risulta che dal 17 marzo 2020 ogni giorno cinque giorni alla settimana Mike Shinoda si mette lì e crea una canzone dal nulla, la registra e la mixa e disegna la copertina e la mette su internet senza pensarci troppo. Il tutto in diretta su Twitch con la gente in chat che gli suggerisce un riff, o un genere, o due generi da far convivere (“Fai un pezzo tipo Beastie Boys, ma con le cornamuse!”) o gli dice direttamente: “Facci vedere come facevate a scrivere una canzone con i Linkin Park!”, e lui glielo lo fa vedere, e in due ore la canzone è finita.

Folk Hip Hop Spaghetti Western Linkin Park, certo, come no.
Su questo fatto di portare il cappello in casa le opinioni divergono.

Nel momento in cui scrivo queste righe siamo a 175 canzoni in 13 mesi, quasi tutte strumentali, basi a cui manca solo un cantante, e potresti essere tu! C’è pure un hashtag, #ShinodaProduceMe, ed è esattamente quello che ti immagini: gente in cameretta che gli manda i demo e lui, se gli gira, si mette a suonare tutti gli strumenti e ti produce la canzone da capo a piedi e all’improvviso sei il cantante dei Linkin Park. Io vado in brodo di giuggiole per cose del genere, e i Linkin Park continuano a non piacermi, ma Mike Shinoda è la mia nuova persona preferita.

Come si fa a scrivere una bella canzone? Scrivendone molte brutte. Una canzone al giorno, ogni giorno, venga come venga. O un disegno, o due pagine scritte, o mezz’ora di corsa, venga come venga, però ogni giorno, senza saltare neanche un giorno: solo così si diventa bravi. Sono sicuro che ci sono milioni di persone là fuori che lo fanno ogni giorno da vent’anni senza bisogno di avere un canale Twitch: si chiama disciplina e io adoro la disciplina, soprattutto quella degli altri. È come vedere un video di esercizi di aerobica mangiando un pacchetto di patatine e dire: “E anche per oggi abbiamo fatto ginnastica”. Io sono quello con le patatine e Mike Shinoda è tipo The Rock, o Jane Fonda. Tu chi sei?

Il disco triplo di canzoncine da quarantena di Mike Shinoda si chiama Dropped Frames e non cambierà la vita quasi a nessuno, ma è lì su Spotify a imperitura memoria del fatto che questo signore ha scritto e registrato quasi 200 canzoni in un anno e ne ha selezionate 48 e parecchie sono particolarmente brutte lo stesso, ma non importa: è tutto esercizio. Non ti fa venire voglia di provare anche tu?

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