Vent’anni fa il cantante di Seattle dava alle stampe il suo primo lavoro solista. Euphoria Mourning – pubblicato col più facile ma ingannevole titolo Euphoria Morning – è l’album dove Chris Cornell si “denudava”, cantando mai così apertamente dei propri demoni interiori. Gli stessi che, irrimediabilmente ingigantiti, lo porteranno via quasi vent’anni dopo in un albergo di Detroit.
Il 9 febbraio del 1997 i Soundgarden suonano alla Neal S. Blaisdell Arena di Honolulu nell’ultimo concerto del tour di Down on the Upside. Lo spettacolo dura poco più di un’ora; la scaletta conta in tutto dodici canzoni. Ben Shepherd – su Blow Up the Outside World – distrugge il suo basso, scaraventandolo più volte contro gli amplificatori. I quattro vanno nel backstage. Il chitarrista Kim Thayil riprende Sheperd per il suo atteggiamento; i due iniziano a litigare pesantemente, arrivando quasi alle mani. Chris Cornell e Matt Cameron, voce e batteria, assistono impietriti alla scena; tornano sul palco e suonano una versione minimale di Fell on Black Days, poi, che sa tanto di resa. Per i tredici anni seguenti, sarà l’ultimo pezzo “live” del gruppo statunitense.
Due mesi dopo la A&M Records ufficializza il loro scioglimento: la band si è separata amichevolmente – si dice sempre così nei comunicati stampa ufficiali, no? – e ognuno dei suoi membri intende percorrere strade differenti. La manager Susan Silver, al tempo anche moglie di Cornell, dichiara ai microfoni di MTV che è stata la scelta più giusta, dettata da un profondo esame di coscienza dei singoli componenti.
La fine dei Soundgarden era nell’aria da qualche tempo. Già l’anno prima c’erano stati screzi riguardanti la direzione musicale da seguire: Kim avrebbe voluto continuare a incidere canzoni rock incentrate sulla sua chitarra; Chris e Matt desideravano continuare con sonorità più psichedeliche e meno aggressive rispetto al passato.
(Ben non era coinvolto; troppo “stonato” per riflettere su nuovi spunti artistici)
Inoltre, la tournée di supporto a Down… non era andata come previsto: in particolare la parte americana – con la partecipazione al Lollapalooza insieme ai Metallica, che avrebbe voluto “rimandare” alla già mitica edizione del 1992 – aveva rappresentato un parziale fallimento, a livello commerciale.
I mesi passano e Chris Cornell inizia a pensare al suo avvenire, mentre i suoi ex compagni suonano con altri musicisti. Shepherd è in studio con Mark Lanegan, incidendo diverse canzoni che saranno incluse in Scraps at Midnight del 1998; Cameron registra un paio di canzoni con gli Smashing Pumpkins (poco dopo diventerà il batterista dei Pearl Jam, ruolo che ricopre tuttora); Thayil comincia a selezionare materiale inedito per un cofanetto di rarità, pubblicato solamente quasi vent’anni dopo.
Chris è a casa sua, con la TV sempre accesa. Tra le dita, fissa, una sigaretta; nella mano, una bottiglia di whisky. Il suo matrimonio con Susan sta iniziando a scricchiolare. Dando una veloce occhiata alle classifiche musicali a stelle e strisce, nota che alcuni dei nomi che stanno vendendo di più sono Backstreet Boys, Boyz II Men e compagnia bella. Meglio mettere sul giradischi un vecchio album che ama molto: The Heart of Saturday Night di Tom Waits.
Il cantante continua a riflettere sul proprio futuro, che vede nero: un colore che, sovente, aveva trovato spazio nelle canzoni dei Soundgarden. Si ricorda di alcuni vecchi concerti nei quali, come “spalla”, c’erano gli Eleven: un gruppo alternative rock capitanato da Alain Johannes (in passato già sodale in varie band di Jack Irons, Hillel Slovak e Flea, che in contemporanea muovevano i primi passi coi Red Hot Chili Peppers).
Cornell telefona a Johannes per sapere se lui e sua moglie Natasha Shneider – musicista e attrice lituana, già dissidente sovietica, che scomparirà prematuramente nel 2008 – siano disponibili a incidere qualcosa insieme. La risposta è positiva, cosa che risolleva il suo stato d’animo.
Qualche giorno più tardi, i tre vengono contattati dal personale che sta curando le musiche di un nuovo film di Alfonso Cuarón, Paradiso Perduto (tratto da un romanzo di Charles Dickens, Grandi Speranze). Vorrebbero una canzone inedita di Chris da inserire nella colonna sonora; il risultato, composto con Alain e Natasha, è una lunga ballata elettroacustica intitolata Sunshower: il vero inizio della carriera solista del frontman dei Soundgarden.
Proprio mentre è intento a creare musica sulla medesima falsariga, per conto proprio, Chris Cornell riceve una chiamata da Natasha, che lo esorta a registrare altro materiale collettivamente.
Prende così un volo per Los Angeles, direzione 11 AD studios. L’atmosfera è così rilassata, e lui così su di giri, che sottopone subito alla coppia un’estesa versione embrionale di quella che diventerà Can’t Change Me. Poi tira fuori una cassetta con alcuni demo casalinghi e li fa ascoltare ad Alain: il musicista cileno ne è colpito. La sua chitarra rock con sfumature flamenco si sposa alla perfezione con il suono che ha in mente Chris, così come le tastiere e il piano della Shneider enfatizzano i toni oscuri delle composizioni.
Il lavoro è mixato negli studi di proprietà della coppia e viene prodotto dai due, insieme allo stesso Cornell. Il management vuole assolutamente cambiare il titolo originale del lavoro, però: dal più tetro Euphoria Mourning al più semplice e innocuo Euphoria Morning – giocando sull’intraducibile assonanza fra “mourning” e “morning” (“lutto” e “mattinata”). La riedizione del disco del 2015, comunque, recherà il titolo originario per esplicita volontà di Chris.
Can’t Change Me apre il disco nel migliore dei modi, con un rock radiofonico che si discosta parecchio dai possenti riff dei Soundgarden.
La successiva Flutter Girl proviene da lontano. Dalla sceneggiatura originaria di Singles - L’Amore È un Gioco – pellicola pseudo-manifesto del grunge, diretta nel 1992 da Cameron Crowe – era stata tagliata una scena dove Cliff Poncier/Matt Dillon si ritrovava a suonare e a vendere le proprie cassette per strada, dopo essere fuoriuscito dalla sua band. Crowe chiese a Jeff Ament di occuparsi della grafica di quei nastri; Chris Cornell fece di più e registrò un’intera cassettina di “Cliff”, partendo dai falsi titoli ideati del bassista dei Pearl Jam. Uno dei quali era proprio Flutter Girl: in origine una lenta ballata per voce e chitarra, ma nella versione di Euphoria Morning un’avvincente canzone rock (grazie all’apporto di Alain e Natasha).
Preaching the End of the World è la prima, vera ballata dell’album e si muove tra sonorità care agli ultimi Beatles e a certe composizioni di Cat Stevens. Nel testo, Chris racconta dell’importanza di avere una persona vicina quando arriverà la fine del mondo. Viene anche prodotto un video: primo piano sul cantante e fondali fintissimi con foto di città alternate a immagini catastrofiche. Meglio soprassedere.
Se Follow My Way può ricordare alcune sonorità portate avanti nella seconda metà di Down on the Upside, è When I’m Down a stupire seriamente. Sulle note di un vecchio pianoforte suonato da Natasha, che può ricordare Tom Waits, Chris racconta dell’amore per una donna: un sentimento che avverte solo quando è giù di corda (anche se, come recita nella parte finale, lei non se ne deve preoccupare… lui si sente sempre così).
Il cantante spiega alla rivista SPIN la natura lirica di Euphoria Morning: quella depressione che aveva attraversato da adolescente, forse, non se n’era mai andata. Col senno di poi, e alla luce del triste epilogo della sua esistenza, questo lavoro rivela il Chris più “intimo” di sempre – al tempo, probabilmente, non tutti lo avevamo compreso bene.
Mission è la canzone più alla Soundgarden di Euphoria Morning. Su una base corposa e martellante, si staglia la tradizionale ugola potente di Cornell (l’anno seguente il pezzo sarà re-inciso in studio, in una versione ancor più aggressiva, per la colonna sonora del secondo capitolo della saga di Missione Impossibile).
Il funk rock di Wave Goobye, invece, è uno dei momenti più alti dell’intera opera. Un’ideale lettera d’addio dedicata a uno dei colleghi e amici più cari: Jeff Buckley, deceduto nel 1997. Tra l’altro, Chris aveva preso parte al processo di selezione dei pezzi pubblicati in Sketches for My Sweetheart the Drunk (il secondo disco in studio del cantautore californiano, mai completato e pubblicato postumo).
Moonchild, ispirata ai cambi d’umore della moglie in concomitanza con la luna piena, è puro Cornell. Un tenebroso mid-tempo pieno di metafore nere che più nere non si può, la quintessenza delle parti più vulnerabili del suo animo. Un concentrato di sensazioni inquietanti: “looking California”, magari, ma “feeling Minnesota”, decisamente.
Sweet Euphoria, l’unico episodio voce e chitarra, mette in risalto una volta in più la voce di Chris, laddove Disappearing One (incisa insieme a Matt Cameron) e Pillow of Your Bones convincono sin dal primo ascolto. Pare proprio questo il “formato” dove il trentaquattrenne Cornell si trovi più a suo agio, ormai, senza il timbro metallico della chitarra di Thayil e il basso tipicamente punk di Shepherd.
La conclusiva Steel Rain, ballata evocativa quanto umorale, commuove per le parole con le quali Cornell pare suggerire un potere salvifico insito nella pioggia. Una magia in grado di cancellare qualsiasi fonte di sofferenza.
La copertina mette in bella mostra le linee del viso del cantante e il suo sguardo magnetico; all’interno del booklet, Chris è ritratto con un gatto nero (insieme ai testi). Non mancano sentiti ringraziamenti ai “fratelli” Soundgarden e a tutti i fan del gruppo che hanno continuato a credere in lui anche dopo la disgregazione della band.
Dopo diversi rinvii, Euphoria Morning vede la luce il 21 settembre 1999 per l’A&M. I Soundgarden, ovvio, sono il termine di paragone principale utilizzato dai media per recensire e giudicare la prima escursione solitaria di Chris Cornell.
Che errore! Alcuni lo bastonano, non riuscendo a capire che il cantautore è ben diverso dalla somma con i suoi tre ex compagni. I fan della band non sono da meno: c’è chi grida allo scandalo, uscendo sconfitto nella speranza di ritrovare le dinamiche hard di Badmotorfinger e Superunknown, e c’è persino chi si sente deluso sul piano umano. Cose che succedevano, quando la musica era ancora un affare serio per la gente…
La macchina non si ferma, però. Viene annunciato un tour europeo e americano nei club, in compagnia degli Eleven. Il 23 ottobre è il giorno dell’unico concerto italiano, al Rolling Stone di Milano. Giacca di pelle nera & jeans stretti, Cornell appare in buona forma fisica… sebbene non lucidissimo.
Stringe le mani dei presenti sull’iniziale Sunshower, riletta in chiave più grintosa rispetto alla versione in studio, e canta quasi tutti i brani del disco. Non solo: rende omaggio ai Temple of the Dog con una struggente All Night Thing e “regala” tre gemme del repertorio dei Soundgarden, scelte fra quelle più cupe: Fell on Black Days, Boot Camp e Like Suicide.
18 maggio 2017, Detroit. È passata da poco la mezzanotte quando viene ritrovato il corpo senza vita di Chris Cornell nel suo hotel, circa un’ora dopo la conclusione di un concerto dei Soundgarden al vicino Fox Theatre. Si è suicidato, come tanti altri ragazzi famosi prima di lui. L’unica differenza è che lui non è più un ragazzo, ma un uomo maturo amato da moglie – Vicky Karayiannis, la seconda – e figli, rispettato dai colleghi e idolatrato dai fan nuovi e vecchi (che, dopo la reunion del 2010, sono tornati a fiotti).
Tutto ciò, però, non gli è bastato. Nulla era più importante, in quel momento, di quel senso di vuoto che lo accompagnava sin da ragazzino, quando iniziò a sperimentare con le prime droghe mentre lo stereo pompava i Kiss e i Black Sabbath.
Tutta quella negazione alla felicità era stata raccontata, fin nei minimi dettagli, proprio in Euphoria Morning – o meglio, Euphoria Mourning.
Seattle, Settembre 1999. Fuori piove: ma va?
In diverse interviste promozionali legate al suo esordio solista, l’ex frontman dei Soundgarden non ha mai negato di alzare un po’ troppo il gomito. Un altro artista grunge dalle note e pesanti dipendenze era il cantante dei Nirvana, che solo cinque anni prima si era tolto la vita. Matt Diehl di SPIN chiede a Cornell: «Non pensi di poter entrare in una spirale autodistruttiva come successo a Kurt Cobain?».
Dopo qualche momento di esitazione, sigaretta tra le dita, sguardo perso nel vuoto e gli evidenti sintomi di un post-sbornia, Chris afferma: «Per me c’è sempre un domani».