A cavallo tra gli anni Novanta e la prima metà degli anni Zero, era Miss America. Poi a un certo punto qualcosa si è rotto, e Brit ha cominciato a vivere una vita che non è la sua. Il periodo più buio ha coinciso, però, con la sua produzione discografica migliore. Forse non in senso numerico, ma nel senso di album che avrebbero dettato le regole di quel che ascoltiamo oggi. Caliamoci in questa oscurità e cerchiamo di capire cosa è successo (spoiler: non ci riusciremo).
La storia di Britney Spears ricorda quella di tante altre star della musica decadute. Una fine a cui di solito contribuiscono gli stessi fattori: la droga, la galera, matrimoni che vanno in pezzi (con figli), management dissennati ma soprattutto i paparazzi – quelli che, oltre agli avvocati, rendono davvero la vita un inferno. È la storia di Amy Winehouse. Che è la stessa di Whitney Houston, o – per citare gente ancora in vita – di Pete Doherty. Che è la stessa di altri talenti meno noti, ma ugualmente sopraffatti dallo show business. Ma c’è qualcosa di diverso, nel caso di Britney.
Una recente docu-inchiesta dal titolo Framing Britney Spears voluta dal New York Times fa luce su una situazione di cui certamente si era parlato, ma che forse non era molto chiara: Britney vive da tredici anni sotto la tutela legale del padre, Jamie Spears. Questo significa che non può gestire direttamente cose che la riguardano, tipo il patrimonio, la carriera, e neanche le cure mediche. Conservatorship, si chiama in gergo legale americano, ed è un provvedimento che, di solito, viene applicato a soggetti non nel pieno delle proprie facoltà mentali. Dunque lei, a quanto pare, non ha le facoltà mentali per badare a se stessa. Ma la sua musica racconta un’altra storia.
Il documentario spiega anche la funzione del movimento #freebritney: l’ex fidanzatina d’America – che ora di quel macigno vorrebbe liberarsi – vivrebbe come reclusa in casa sua e starebbe cercando di chiedere aiuto attraverso messaggi in codice postati sui social. In effetti, tutta la faccenda manca di una voce fondamentale: la sua. I produttori hanno messo addirittura in dubbio che le sia pervenuta la richiesta di essere intervistata.
Sarà vero? Ma, a prescindere da questo, come si è arrivati fin qui? Dove si è interrotta la vita di questa ragazza prodigio che partì da Topolino per conquistare il mondo?
Cominciamo da qui, dal giugno 2006. Mentre le classifiche americane traboccano di talenti femminili (Dixie Chicks, Nelly Furtado, Shakira, Beyoncé, Christina Aguilera), Britney sta per chiudere – male – la prima parte della sua colossale carriera, cominciata nel 1998 con un pezzo pop perfetto e un video in cui balla vestita da collegiale. Rilascia un’intervista al conduttore americano Matt Lauer per il programma Dateline, su NBC, e lo fa alla luce di un pasticciaccio brutto. Sono circolate alcune foto di lei alla guida della sua macchina, con il primogenito, Preston, seduto sulle sue gambe, senza protezione. Sui minorenni in America non si scherza: basta molto meno a far pensare che una non sia in grado di badare al proprio figlio. Britney spiegherà che quel gesto era dovuto proprio a un tentativo di sfuggire ai paparazzi.
A un certo punto dell’intervista, Britney piange. Non è solo un piantino: è un collasso nervoso, in diretta tv. Non che sia la prima volta, che Brit scoppia in lacrime durante un’intervista, ma c’è qualcosa che crolla in lei alla domanda «Vorresti che ti lasciassero in pace, vero?».
Quell’intervista è uno spartiacque tra il suo mondo di prima e il mondo futuro. Infatti, pochi mesi dopo, tanto per cominciare, si separerà dal marito Kevin Federline. Una separazione che le costerà molto, in tutti i sensi.
Se possibile, il 2007 è peggiore dell’anno precedente. Anche in questo caso, a far esplodere la bomba sono alcune foto che circolano sui tabloid, scattate nell’arco di una sola giornata. Una ritrae Brit intenta a radersi la testa in un hair salon di Los Angeles (aveva chiesto al barbiere di tagliarle i capelli perché l’extention le dava fastidio, ma lui aveva cercato di dissuaderla, dunque lei aveva provveduto da sé, a radendosi a zero come Sinead O’Connor). Altre immagini la vedono in un parcheggio, mentre, con il volto sfigurato dalla collera, prende a ombrellate la macchina di un paparazzo. Pochi giorni dopo, finisce in un centro di salute mentale, ma ne esce dopo sole 24 ore.
In quell’occasione, l’ex marito aveva impedito a Britney di incontrare i suoi figli. Pochi mesi più tardi, sarà lei a rifiutarsi di consegnarli a lui. Scoppierà una lite furibonda, e Brit sarà arrestata e portata via dalla sua casa di Beverly Hills in ambulanza. Verrà ricoverata alla Cedars-Sinai Medical Center (famosissima rehab per consumate rockstar) e – cosa ben più grave – perderà l’affido condiviso dei bambini.
Fino al 2006, Brit era stata Miss America: bella, sorridente, provocante quanto basta. Mai un gesto sgarbato, mai una risposta fuori posto. Era la ragazza di umili origini della Louisiana che ribaltava il suo destino, trascinando la famiglia con sé nel magico mondo della ricchezza. Il fatto poi che avesse manifestato la sua intenzione di arrivare vergine al matrimonio, le aveva conferito quell’aura di santità che faceva molta presa sugli americani. Il fiero custode della sua virtù era allora Justin Timberlake, membro degli NSYNC, avviato verso una carriera solista. Si erano conosciuti negli studi del Mickey Mouse Club, un vero e proprio vivaio di star in cui i baby-attori percepivano 185 mila dollari alla settimana.
Quando Brit e Justin si lasciano, nel marzo del 2002, non finisce solo una relazione a due. Finisce anche la luna di miele tra lei e il suo pubblico. Senza uno straccio di #metoo a tenderle una mano – e ben prima delle attuali questioni su cosa significhi essere una donna nello show business – eccola diventare la ragazza cattiva che ha spezzato il cuore a Timberlake. E lui non perde occasione di dirlo a tutto il mondo.
Dunque, mentre nel 2007 il mondo le sta crollando intorno, la Jive Records – sua etichetta discografica sin da inizio carriera – freme per l’uscita del suo nuovo album, Blackout, il primo in quattro anni, concepito proprio mentre volavano gli schiaffi delle pratiche di divorzio da Federline, con una Britney emotivamente a terra, ma molto sicura circa quel che voleva dire con la sua musica. Sin da quel «It’s Britney Bitch» che apre l’album, è chiaro che Brit sta per lanciare il suo urlo primordiale. È come se quelle sessioni d’incisione rappresentassero la sua unica ancora di libertà, mentre tutto intorno a lei, tutto quel che era suo, cominciava a essere di qualcun altro.
Definito da Rolling Stone «il migliore album di Britney», nonché «il suo punk album sottovalutato», Blackout ha dentro canzoni che sono in pratica dei monologhi, che altri hanno scritto, magnificamente, per lei.
In qualità di produttore esecutivo, Spears decise di ri-arruolare per l’album produttori con cui aveva già lavorato in precedenza. In primis, il duo svedese Bloodshy & Avant, autori della hit Toxic (dall’album In the Zone, 2003). Poi i Neptunes, creatori di I’m a Slave 4 U e Boys (da Britney, 2001) e Kara DioGuardi (Brave New Girl, sempre da In the Zone). Il produttore J.R. Rotem viene inserito nel team perché a Brit piaceva il suo contributo a SOS di Rihanna (chissà se sapeva che il pezzo si sviluppava sul sample di Tainted Love dei Soft Cell). E poi il pezzo da novanta, Danja - Floyd Nathaniel Hills, chiamato a contribuire al progetto dopo il lavoro fatto con Timbaland, il Re Mida del decennio. Con lui Brit lavorerà a cinque tracce dell’album, tra cui la potentissima opener.
Danja non aveva in mente la pop music nel costruire le canzoni di quest’album, era dentro all’EDM fino al collo, e il genere in quel periodo non era ancora mainstream. Era di casa a Miami dove la gente impazziva per Satisfaction di Benny Benassi e per mostri sacri come Tiësto. Pensava che, se la musica non si poneva quel traguardo – quello di mandare la gente in estasi – allora era inutile farla. Il modo per dare un’accelerata a tutto il processo c’era: bisognava trasportare quell’essenza nella pop culture. Britney, da par suo, la pensava allo stesso modo. Voleva un album da ballare e con suoni all’avanguardia. La regina del pop perfetto poteva finalmente emettere un ghigno elettronico su synth accartocciati.
Ascoltando il testo di Piece of Me, è chiaro perché per Brit è stato amore al primo ascolto, quando Bloodshy & Avant, insieme al producer svedese Klas Åhlund, gliela hanno fatta ascoltare su un demo in anteprima. Le calzava addosso perfettamente. Era il bigino della sua parabola discendente: «ora che mi avete fatto a pezzi, raccoglieteli, questi pezzi», sembra voler dire. E pensare che la canzone ha rischiato di non farcela, a entrare nella tracklist finale del disco, che era già praticamente chiuso. Ed è ancora più incredibile soffermarsi sul fatto che quel demo, in origine, fosse cantato da Robyn. Quella che poi, da lì a poco tempo, alzerà di molto l’asticella della produzione di musica elettronica.
I'm Miss American Dream since I was seventeen
Don't matter if I step on the scene
Or sneak away to the Philippines
They still gon' put pictures of my derriere in the magazine
(Piece of Me)
Il debutto di Blackout è accompagnato da una serie di calamità. L’uscita è fissata per il 13 novembre 2007, ma deve essere anticipata di un mese perché il noto sito di gossip Perez Hilton pubblica i leak di dieci canzoni. Per giunta, il tutto coincide con notizie che mettevano fortemente in dubbio lo stato psichico di Brit – tipo che si sia candidata per un lavoro di portineria notturna in un hotel, o che sia stata vista cantare Santa Claus Is Coming to Town a un cane, vestita da Babbo Natale. Vale la pena ricordare che, a questo punto, Brit ha l’obbligo di sottoporsi a un test antidroga ogni due settimane.
Blackout ha comunque per lo più recensioni positive, anche se non mancano le critiche. Per esempio qualcuno sottolinea che la voce di Britney sembra troppo processata. Qualcun altro dice che il merito è dei produttori di primissimo livello, e non suo. Detto questo, l’album debutta al numero 2 della Billboard 200. Alla fine del 2008, avrà venduto tre milioni di copie. Rob Sheffield di Rolling Stone lo definirà «l’album più influente degli ultimi cinque anni». Nel giro di poco tempo, tutti vorranno suonare come lei.
Contrariamente a quanto fatto per i precedenti album, Britney non fa promozione per Blackout. Si concede un’unica live performance agli MTV Video Music Awards, di gran lunga la peggiore della sua vita. Sono passati sette mesi dall’incidente al parcheggio.
I used to be a cool chick but I feel like the paparazzi has taken that away from me. (Britney Spears, 2008)
Il migliore album di Britney, nonché quello che meglio la rappresenta, coincide insomma non solo con il suo periodo più nero, ma anche con la fine effettiva della sua libertà. Come dicevamo, dal 2008, la sua carriera e il suo patrimonio sono sotto la tutela legale del padre. E se all’inizio lei – che ora ha 38 anni – aveva accettato questa situazione, adesso vuole cambiare musica.
Da quando non è più padrona della sua vita, Britney ha pubblicato altri quattro album: Circus (2008), Femme Fatale (2011), Britney Jean (2013) – il primo con la RCA – e Glory (2016). Ha continuato, insomma, a essere pressoché operativa, a rilasciare interviste, a fare concerti, compresa una corposa residency a Las Vegas, che le è valso un cachet da urlo.
A tal proposito, una seconda tornata viene lanciata in grande spolvero nel 2019, ma Brit la cancellerà con un comunicato su Instagram, citando come motivazione i problemi di salute del padre. Niente di strano riguardo al canale scelto per diffondere la notizia, del tutto al passo con i tempi, se non per gli ennesimi sospetti sul “mandante”. Il movimento #freebritney sostiene infatti, tra le altre cose, che le sue decisioni – e di conseguenza i suoi canali social – siano gestiti da qualcun altro.
Framing Britney Spears apre un nuovo squarcio nella realtà già poco trasparente di Brit, ricordandoci come lei avesse apertamente richiesto la sospensione della tutela del padre (dichiarando di averne paura), ed espresso il desiderio di avere come tutore il suo avvocato.
Il giudice della Corte Superiore di Los Angeles, dopo infinite udienze, ha deciso che il padre dovrà condividere il suo potere con una società finanziaria, e che insieme lavoreranno per lo sviluppo di un piano di investimenti a favore della cantante. Ci sono debiti da colmare e tanto lavoro da fare.
Nel frattempo, Brit ha messo la sua carriera in pausa. O, forse, il solito, misterioso qualcuno l’ha fatto per lei.