L’icona slacker per eccellenza, un po’ di indie-indiano e altre storie.
Raga introduttivo per il nuovo album intimista di una delle icone indie fondamentali come Stephen Malkmus, AKK Kirtan è messa lì all’inizio per farti esaltare subito. Fresca, genuina, beatlesian – un inizio del genere, per il nuovo Traditional Tecniques, è già un immenso punto a favore della la carriera solista del leader dei Pavement.
«Ho una 12 corde che ho comprato a Portland per circa 700 dollari. Quando ho cercato di ridarla indietro al negozio, mi hanno detto: “è deformata, ti possiamo dare al massimo 200 o 300 dollari”. Allora gli ho risposto: “Che mancanza di rispetto! Vi farò vedere cosa può fare questa chitarra!”».
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E così lato psichedelico, folk e meditabondo del songwriter californiano (poi di stanza a Portland) si è tinto anche di slide-guitar, tablas, tamburi e sitar, rievocando una sensazione etnica che si sposa perfettamente con i suoni cui Malkmus ci aveva già abituati. Meno male che quella chitarra non l’ha restituita, insomma.
Poi è vero che il resto del disco torna a battere sui medesimi toni consueti, ma l’arricchimento timbrico e di colore che l’opener dona all’ultimo lavoro è comunque essenziale per apprezzarne la novità. AKK Kirtan è un po’ un indie-indiano, quasi simpaticamente coinvolgente e ricco di divagazioni che si sposano perfettamente con l’attitudine del DIY da sempre marchio di fabbrica del Nostro e con le altre ballad di ben più canonica assimilazione.
Tre album pubblicati nel giro di due anni e una ritrovata prolificità che lascia ben sperare, soprattutto quando eclettismo e intensità riescono a darci risultati come questo. Silver Jews, Pavement, The Jicks e via ancora verso altri lidi.