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Soilwork: Death Diviner
Sylvain guarda, c'è uno che ti saluta. Apri 'sti occhi!

Death metal, melodia e confusioni spazio-temporali.

Non deve essere stato facile per i Soilwork rimanere sulla cresta dell’onda per tutto questo tempo, mantenendosi nei secoli fedele a un sotto-sotto-genere del metal. Considerando inoltre che il death metal melodico scandinavo – ovvero il sottogenere di cui sopra (e perdonate il disorientamento spaziale che questa frase può infliggere) – ha conosciuto il suo momento d’oro a metà degli anni Novanta, quando l’esordio del gruppo di Björn Strid data 1998.

Ma se sono ancora in giro, significa evidentemente che qualcosa da dire Strid e compagni (nel frattempo cambiati e ricambiati per strada) ce l’avevano. E, tra alti e bassi, ce l’hanno ancora.

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Death Diviner è i Soilwork come li abbiamo sempre amati, praticamente in stato di grazia: per il riffing, per i solo, per i cambi di tempi e il lavoro di batteria (notevole Bastian Thusgaard, anche per l’abbigliamento), per le parti vocali del buon Björn che si conferma uno dei migliori cantanti del genere.

Vi risparmiamo il comunicato stampa che accompagna l’operazione EP A Whisp of the Atlantic di cui questo pezzo fa parte, e le relative fregnacce sulle dee babilonesi (sapete meglio di noi quanto il metal ami le divinità di quelle zone: Tiāmat, Marduk, Ishtar, Nergal e compagnia – dovrebbero tutti leggere Calasso), mentre segnaliamo compiaciuti il clip che accompagna il pezzo: a seconda dell’umore potreste scambiarlo per l’inizio di un brutto film horror svedese degli anni Settanta, o di un brutto film porno svedese degli anni Settanta. In nessuno dei due casi, comunque, si vede alcunché. L’idea poteva essere interessante, ma alla Nuclear Blast tutto il budget devono averlo messo sulla colonna sonora, e forse è meglio così.

Soilwork 

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