Il blues è una religione. Il deserto pure.
Dai Vangeli non risulta, ma questa è la breaking news: Gesù era un bluesman. E ovviamente vi voleva a tutti un gran bene. Noi, comunque, riserviamo lo stesso amore a un uomo che è uno dei veri emblemi della musica del deserto. Un pilota delle dune: batterista, cantante, chitarrista, tuttofare.
Brant Bjork rimarrà sempre bersaglio della nostra fede incondizionata e scoprire che in questo disco (il tredicesimo della sua carriera solista, che ha come titolo – semplicemente e giustamente – il suo nome) fa tutto lui, quasi ci commuove. Qualcosa vorrà pur dire, questo è uno che ci crede davvero!
Basta poco, diranno alcuni. Ma coloro che non hanno mai odorato la sabbia del Mojave – quella che ha sporcato il sound dei Kyuss – non sanno che la loro è eresia e che il buon nazareno amava proprio quel giro di chitarra, così come lo amava il suo antagonista infernale. Perché l’amore ha sempre due facce.
Ai personaggi degni di fede si deve riconoscere il loro merito, c’è poco da fare. Così al caro e vecchio e immortale giro blues. Niente progressioni psichedeliche, niente trip, niente John Garcia, niente Josh Homme, né Nick Oliveri e né altro che non sia questo. Amen, mister Bjork. Che il verbo e la sabbia del deserto siano sempre con te!