Germogli nati dai semi cattivi, rimasti immeritatamente a metà.
In questo strano 2020 c’è anche qualcuno che ha giocato le carte migliori poco prima che il mondo si rovesciasse nel giro di una manciata di giorni.
È così che gli ignari Bambara, direttamente da Athens, a febbraio hanno immesso sul mercato Stray, l’album che festeggiava i dieci anni di attività e che sarebbe stato il trampolino di lancio per il passaggio meritatissimo di livello. Promozione e tour erano già pronti, bisognava solo saltare sul treno in partenza. Che – ahinoi – è rimasto fermo in stazione e lì resterà sino a data da destinarsi.
È un peccato, perché dopo anni spesi nei club rognosi la band meritava di più: la loro rilettura post-punk anfetaminica e alcolica riportava a galla nemmeno troppo velatamente i suoni e l’attitudine dei Bad Seeds quando ancora schiumavano bile ed eroina dal palco. Reid Bateh è tutto ciò che era Nick Cave prima di passare alla beatificazione mistica, e la sua performance è talmente sincera ed efficace che – seppur praticamente uguale – non si può parlare apertamente di plagio, quanto di vera e propria devozione che ha dato voce ai suoi demoni interiori.
Ne è un fulgido esempio Serafina, uscito come singolo un paio di mesi prima dell’album, in cui lo storytelling nevrotico, annoiato e tossico di Reid si posa su una base strumentale alimentata a speed e bourbon che non lascia scampo.
Poteva essere il loro anno. Peccato. Ma non è mai troppo tardi per (re)innamorarsene e attendere trepidanti insieme a loro che il treno, prima o poi, lasci la stazione.